La sezione giurisdizionale della Corte dei Conti della Calabria ha confermato il sequestro conservativo “ante causam” di beni per 1,5 milioni della Corte dei Conti della Calabria nei confronti dell’ex dg dell’Afor, Paolo Furgiuele, del responsabile dell’ufficio legale, Giuseppe Campanaro, e dell’ex commissario liquidatore dell’Afor, Federico Postorino, ritenuti responsabili di alcune anomalie nella gestione del Tfr dell’ex azienda forestale regionale. Nell’ordinanza con la quale viene confermato un analogo provvedimento dello scorso 13 maggio scorso, il giudice contabile ricostruisce la vicenda che coinvolge i tre dirigenti e che risale agli anni 2013-2014, sostenendo che i soldi del trattamento di fine rapporto dei lavoratori dell’ex Afor, per un importo di 1,5 milioni, sarebbero stati investiti e affidati, «pur trovandosi l’ente in liquidazione», a una società, la Cooperfin, «seguendo una procedura con diverse anomalie e senza le necessarie verifiche sull’affidabilità economico-finanziaria del partner».

La vicenda

Secondo la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti «appare del tutto irrazionale e anomala la scelta di effettuare un investimento finanziario del genere sia per il tenore della motivazione (garantire la prestazione dei servizi essenziali evitando le azioni esecutive dei creditori), sia perché l’Afor si trovava già in liquidazione (e quindi non avrebbe dovuto compiere atti di gestione diversi da quelli previsti dalla legge regionale 25 del 2013), sia perché – scrive il giudice contabile - venivano utilizzate le somme destinate al pagamento del Tfr (soggette di per sé a particolari cautele in caso di investimento), sia in quanto la scelta cadeva su un partner dalla dubbia solidità economico-finanziaria (avendo al 31 dicembre 2012 un utile di esercizio di soli euro 7.028)».

Confermato il sequestro

La Corte dei Conti osserva che «L’irrazionalità della scelta trova conferma nella scarsa chiarezza della modalità con cui è stata gestita la vicenda, non essendo nemmeno chiaro se si tratti di concessione di servizi o di un appalto di servizi», evidenziando poi che «l’illecito erariale non deriva tanto dalla violazione della normativa in materia di appalti, quanto dall’aver effettuato un investimento di somme soggette di per sé a particolari cautele, scegliendo come partner finanziario una società dalla dubbia solvibilità, disponibile a versare interessi difficilmente realizzabili e garantita da un fideiussore tutt’altro che affidabile. A riprova dell’irrazionalità dell’investimento – annota il giudice contabile – la ‘Cooperfin’, immediatamente dopo essere entrata in possesso del milione e mezzo del Tfr si è rivelata del tutto inadempiente (non avendo mai corrisposto alcun interesse attivo)». Per questi motivi la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti conferma «il decreto presidenziale del 13 maggio 2019, fissando il termine di 60 giorni per il deposito, presso la segreteria della sezione, dell’atto di citazione per il relativo giudizio di merito».