I “notabili” del Pd cominciano a non essere più sicuri di essere stati poi così furbi a condurre la partita politica sul referendum. Il richiamo del segretario nazionale ed ex premier Matteo Renzi non lascia spazio a dubbi e deve aver fatto correre un brivido lungo la schiena dei vari Magorno e Oliverio, già pronti a riabbracciarsi per ripartire come se la consultazione non fosse mai avvenuta.

 

Il segretario regionale, campione assoluto dell’arte del rinvio, aveva perfino sconvocato l’assemblea che domani avrebbe dovuto svolgersi per l’analisi del voto. Senza indicare neanche una data di successiva convocazione. Troppi impegni in Regione, troppi impegni per Marco Minniti che avrebbe dovuto chiudere il dibattito e nelle more è diventato ministro dell’Interno. E poi le festività e la voglia matta di rinviare tutto al nuovo anno, quando magari la buriana sarebbe definitivamente passata. Una tattica della procrastinazione vista bene anche da Oliverio che non vede l’ora di presentare alla stampa il suo report dei due anni di governo. Lo farà durante queste vacanze natalizie, ma solo dopo aver svolto due Consigli regionali in tre giorni per approvare un paio di provvedimenti da mettere finalmente in cascina. E poi prepararsi a ricevere la nomina di commissario alla Sanità, dopo l’emendamento approvato nella legge di stabilità che ha rimosso l’incompatibilità tra la carica di commissario e quella di presidente della giunta.

 

Ed invece no. Renzi ha voluto rovinare la festa a tutti. L’analisi del segretario è stata spietata e ha chiamato sul banco degli imputati per la sconfitta elettorale il Mezzogiorno e, ovviamente, i suoi governatori che, paradossalmente, sono tutti democrat.

«Abbiamo perso al Sud – ha detto Renzi - abbiamo pensato fosse sufficiente una politica di investimenti senza pensare a un coinvolgimento vero. Ci siamo stati ma abbiamo avuto un approccio troppo centrato sul notabilato e non sulle forze vive della comunità del Sud. Aver messo tutte quelle risorse senza essere riusciti a coinvolgere nel modo giusto le persone è stato un errore».

Più chiaro di così. Il governo ha messo tutto, investimenti e norme, la classe dirigente locale ha fallito. E del resto le percentuali del no al Sud, compresa la Calabria, dimostrano che è proprio mancato l’apporto di intere fette di elettorato che avrebbero dovuto essere del Pd. La maggioranza bulgara che ha sostenuto Oliverio alle regionali, ad esempio, che fine ha fatto?

 

Insomma qualcuno ha visto in questa dichiarazione la volontà dell’ex premier di mettere mano in maniera radicale alla riorganizzazione del partito. E la strana coppia Magorno-Oliverio ha adesso motivi seri di preoccuparsi. Ad esempio non pare così sicuro che Massimo Scura venga davvero allontanato dall’incarico, nonostante il governo abbia adesso la possibilità di farlo.

Né è sicuro per Magorno che il proseguo della strada sia in discesa, anche in vista di una ricandidatura alle prossime politiche. Il segretario, però, per il momento fa finta di nulla e si schiera nuovamente al fianco del premier che in buona sostanza lo boccia.

 

«Abbiamo ascoltato una relazione di grande rigore e severità, che traccia per l’orgoglioso popolo del Pd un orizzonte d’azione verso il quale tutti con grande responsabilità dobbiamo metterci in cammino – il commento di Magorno - Il segretario nazionale volta ci ha dato una lezione di serietà, non sfuggendo da una analisi del voto del referendum autocritica e carica nello stesso tempo di slancio e di proposte per il bene del partito e del Paese. I riferimenti al Sud e ai giovani, ben lontani dalla felpata propaganda, ci obbligano ad alzare l’asticella del nostro agire politico e ad essere conseguenti nel nostro impegno sui territori. Soltanto con un Pd forte, possiamo realizzare un’Italia a pieno titolo cittadina della modernità, riconciliata nelle sue tensioni sociali e più solida economicamente. E questo discorso è ancor più valido in Calabria, dove sapremo raccogliere la domanda di cambiamento che è arrivata dall’esito del referendum».

Per il momento sarebbe già tanto riuscire a convocare l’assemblea regionale.

 

 

 

Riccardo Tripepi