Ecco cosa successe in quelle ore convulse, tra le telefonate ai parenti e la ricerca delle scialuppe per approdare all’Isola del Giglio
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Doveva essere una bella crociera, un viaggio di piacere, un’oasi di relax su una delle nave più belle del mondo ed in un paesaggio mozzafiato: si trasformò in una notte di morte e paura, nel terrore di non rivedere i propri cari, un macabro scherzo del destino che trasformò le sale da ballo che ospitavano sorrisi e risate in trappole letali sotto la pressione dell’acqua.
Dieci anni fa, la Costa Concordia speronò degli scogli all’altezza dell’Isola del Giglio, dopo una manovra sbagliata: lo squarcio di 70 metri nello scafo portò la nave ad inabissarsi, portando via con sé 32 vite vittime di un tragico “inchino”. A bordo della nave anche diversi calabresi: erano 34 i passeggeri registrati a bordo, ai quali si aggiunsero altre quattro persone tra personale di bordo, musicisti, addetti alla cucina e cappellani. Una nutrita pattuglia, che fortunatamente riuscì a mettersi in salvo in quella tragica notte di dieci anni fa.
Costa Concordia, la telefonata al fratello in Calabria: «Stiamo affondando»
Dagli archivi emergono storie che raccontano in maniera precisa il terrore di quelle ore di morte e tragedia: tra tutte, una delle storie che colpì di più l’opinione pubblica fu quella di Walter Cosentini, di Aprigliano, in vacanza insieme alla moglie ed ai due figli. Il racconto fu da pelle d’oca: Walter, insieme alla famiglia ed i figli, erano a teatro per assistere allo spettacolo di alcuni artisti. Improvvisamente, un boato sovrasta la musica prima del black out totale. Il teatro inizia a riempirsi d’acqua, la gente inizia a correre e Walter chiama a casa al fratello Luigi: «Stiamo affondando». Il racconto di quelle ore è drammatico, così come è complicato il salvataggio: la famiglia si rifugia sul punto di ritrovo ma sulla prima scialuppa succede l’irreparabile: si rompe una cima, quindi è necessario tornare sulla nave e salire su un altro mezzo di salvataggio insieme ad altri 400 naufraghi, fino ad arrivare a toccare terra alle 4.30 del mattino. Il racconto venne raccolto dal Quotidiano della Calabria, ma furono tante le voci di quei giorni.
Il cuoco e il cappellano, chi erano i calabresi a bordo della Costa Concordia
Erano 34 i calabresi secondo la prima lista dei passeggeri diffusa dalla Costa Crociere nelle ore immediatamente successive. A questi si aggiunsero i membri dello staff a bordo, altre cinque persone che riuscirono a mettersi in salvo: tra questi, Alfredo “Alex” Polimeni, pianista jazz di Villa San Giovanni. Nei minuti precedenti il naufragio era in servizio, come raccontò ai tempi: stava suonando un classico jazz alle 21.30, al pianoforte della hall principale della nave, quando sentì l’impatto. Adesso, a dieci anni di distanza, affida il suo pensiero ai social: «Sono passati dieci anni da quella notte maledetta – scrive su Facebook – non potrò mai dimenticare quegli attimi di paura, di panico negli occhi di chi mi stava accanto. Un dolore che mi porto dentro pensando a quelle persone e amici che non ci sono più».
Insieme a lui, tra il personale di bordo, due chef di Bagnara Calabra, Massimo Molinaro e Salvatore Luppino, e il cappellano della Costa Concordia, don Raffaele Malena, originario di Cirò Marina.
Secondo la lista diffusa, la pattuglia più numerosa era quella composta da passeggeri provenienti dalla Sardegna (208), seguiti da siciliani e piemontesi. Tante le storie che si incrociarono in quei giorni, fortunatamente tutte a lieto fine: come la coppia di Crotone in viaggio di nozze che riuscì a scampare alla tragedia o come Leonardo Colombo, direttore delle cucine della Costa Concordia, di Pizzo Calabro. Sarà una giornata difficile, per loro, quella di oggi: nel ricordo di quella notte in cui, per un maledetto inchino, rischiarono di affondare per sempre nel Mar Mediterraneo.