In un lembo di terra divorato dalla corruzione vincere le elezioni comunali offre un posto al sole nella società. Pertanto chi indossa qui la fascia da primo cittadino quasi sempre ha la sensazione di essere intoccabile. Tutto questo finché non è arrivato il procuratore Pierpaolo Bruni
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Nei municipi del Tirreno cosentino tira una brutta aria. Lo sanno tutti: l'arresto del sindaco di Fuscaldo Gianfranco Ramundo, avvenuto ieri mattina, non è che il prosieguo delle vastissime indagini che stanno investendo gli amministratori della costa tirrenica ormai da mesi e che mieteranno ancora "vittime". A luglio scorso c'era stato l'arresto cautelare del sindaco di Aieta, Gennaro Marsiglia, che non è avvenuto relativamente al suo ruolo di primo cittadino, ma di consulente di altri due Comuni costieri, Maierà e Buonvicino, anch'essi attenzionati ufficialmente dalla procura. Una settimana prima il procuratore Bruni aveva firmato l'arresto di tre funzionari del Comune di Amantea e dell'assessore all’istruzione Emma Pati, perché secondo il quadro accusatorio costoro avrebbero truccato degli appalti pubblici.
Tirreno cosentino terra di nessuno
Ma perché tanto timore per ciò che potrebbe ancora accadere? Il Tirreno cosentino è un lembo di terra che, come il resto della Calabria, è corroso dalla corruzione, ma se in altri posti lo Stato ha messo già da tempo lo zampino, questa, fino all'arrivo del procuratore Pierpaolo Bruni a Paola, era considerata la terra di nessuno e senza nessuna regola, orfana delle più elementari forme di legalità anche all'interno delle istituzioni.
In altre parole, qui la giustizia ha latitato per lungo tempo, anche per colpa dei soliti pezzi deviati dello Stato e i cittadini a un certo punto hanno rinunciato persino a denunciare, attività che a queste latitudini è considerata a tutt'oggi una vera e propria perdita di tempo.
Sindaci intoccabili come totem
Ma cosa c'entra tutto questo con sindaci e amministratori? Ebbene, in una terra ad alto tasso di criminalità e disoccupazione, dove gli sbocchi professionali rasentano lo zero e lo spaccio di droga sembra essere l'unica attività redditizia, vincere le elezioni comunali è una sfida contro la malasorte per la conquista di un posto al sole nella società. La maggior parte dei candidati (molti, tanti, ma per fortuna non tutti) ha aspirazioni e ambizioni meramente personali, che vanno dagli interessi economici alla sistemazione dei propri famigliari e amici, senza dimenticare il piacere che solo il potere può regalare. Famosissimo è un detto siciliano, attribuito anche al capo di Cosa Nostra, secondo cui comandare sarebbe molto meglio che andare a letto con qualcuno.
I sindaci, dicevamo, qui sono una sorte di totem, una figura rispettabile e rispettata da alcuni fino alla venerazione. Tanto venerabile che pure le minoranze si guardano bene dal fare opposizione sulle cose che contano, concentrando attenzioni e polemiche su cose abbastanza frivole da non riuscire a interrompere o denunciare nessuna azione fraudolenta, rendendo di fatto a volte inutile la loro presenza durante i consigli comunali.
Pertanto chi indossa qui la fascia da primo cittadino, quasi sempre ha la sensazione di essere intoccabile, sensazione accresciuta negli ultimi anni grazie al mancato controllo sul proprio operato. Su alcuni soggetti sembra esserci il veto. Pertanto, le olimpiadi dello sfascio della cosa pubblica sono proseguite senza particolari intoppi.
La strafottenza dei sindaci verso leggi e cittadini
C'è chi ha assunto parenti fino alla terza generazione, chi ha assegnato case popolari ai propri genitori o ai genitori di consiglieri e assessori, chi ha pagato un giornalista 3mila euro per un convegno, chi ha palesemente truccato concorsi, già denunciati alla magistratura, o chi è stato costretti ad annullarli per non incappare nelle maglie della giustizia, c'è pure chi brucia soldi pubblici pagando stipendi a persone con compiti inesistenti, chi fa vincere bandi e concorsi a persone all'interno dello stesso nucleo famigliare, chi imbroglia carte alla luce del sole, chi assume all'impazzata in prossimità delle elezioni, chi scambia il Municipio per un poltronificio, chi per casa propria per fare quel lo che gli pare, e potremmo continuare all'infinito. Ogni azione ha un comune denominatore, la strafottenza, nei confronti dei cittadini, della morale, delle leggi. L'imperativo è prendersi gioco delle vite e delle competenze altrui, ma anche dei sacrifici della povera gente. La parola d'ordine è raccattare, nel senso di raccattare voti e consensi, perché se fare il sindaco è uno spasso, immaginiamoci scalare tutta la gerarchia politica.
Vincono sempre gli stessi nomi
Fare il sindaco costa tanta fatica, ma evidentemente i privilegi sono di gran lunga superiori ai grattacapi, altrimenti non si spiega il fatto che sulla costa vincano generalmente quasi sempre gli stessi nomi, che fanno la lotta sempre con gli stessi avversari, per poi alternarsi ad ogni mandato. Trent'anni fa in molti Comuni c'erano gli stessi amministratori di oggi, solo che adesso hanno in squadra quelli con cui trent'anni fa si facevano la guerra.
Per decenni si è andato avanti così, con i politicanti a mangiarsi pure i muri della casa comunale senza che mai qualcuno sia intervenuto, nel mentre ci si divideva la torta su rifiuti, depuratori e lavori pubblici in tutta tranquillità Un spasso. Ma ora, per dirla alla Salvini, la pacchia sembra essere davvero finita.
Un sistema di corruzione famelico
Chi ha la coscienza sporca se ne rende conto e dorme con una valigia accanto al letto, qualcun altro è preda di violenti rialzi di pressione. Perché se la giustizia come la matematica non è un'opinione, alla prossima operazione della Guardia di Finanza non dovrebbe mancare poi così tanto. Con enorme soddisfazione per quegli amministratori che, in nome della legalità, hanno finora pagato a caro prezzo l'ostinazione a non voler piegarsi a un sistema di corruzione che sta divorando il futuro di questa terra.