La sezione d’Appello della Corte dei conti conferma la sentenza di primo grado e condanna la casa di cura Cascini di Belvedere Marittimo: «Violati i limiti spesa»
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Una mazzata sulla casa di cura Cascini di Belvedere Marittimo: la Corte dei conti conferma anche in Appello la condanna al pagamento di 1 milione 113mila euro per pagamenti non dovuti nell’ambito della convenzione con l’Asp di Cosenza. Denari arrivati nelle casse della struttura sanitaria grazie all’extra budget, la quota di servizi eccedenti che sarebbe stata erogata senza badare ai danni provocati alle casse pubbliche.
I giudici contabili di secondo grado confermano in pieno l’impostazione della sezione calabrese della Corte e ritengono che il comportamento del management della Cascini non rientrasse nel perimetro della convezione siglata con l’Azienda sanitaria provinciale. Né può valere, come scusante, il fatto che la casa di cura abbia ceduto i propri crediti a una delle (tante) società finanziarie che gravitano attorno al sistema sanitario calabrese e che acquistano le somme che le Asp non erogano ai privati per poi recuperare con decreti ingiuntivi.
È successo anche nel caso della clinica Cascini: il Tribunale, vista l’iniziale inerzia dell’Asp di Cosenza, ha approvato il decreto ingiuntivo. Per i difensori della casa di cura questo segnale sarebbe stato utile a provare che le somme riconosciute extra budget erano effettivamente dovute. I giudici, però, hanno sposato la linea della Procura della Corte dei conti e stabilito che la Casini debba restituire gli importi.
Le valutazioni della Procura generale avrebbero, dunque, «evidenziato gli aspetti salienti idonei a configurare il dolo – o secondo il giudice di primo grado quantomeno la colpa con previsione – nell’agire della Cascini, per avere coscientemente ceduto crediti derivanti da prestazioni non autorizzate e in violazione dei limiti di spesa fissati nel contratto o comunque non liquidi e non esigibili». La struttura sanitaria avrebbe anche «trascurato la contestazione della Asp di non spettanza delle somme, e infine, dichiarato in sede di cessione (del credito, ndr) che le somme erano dovute, che nessuna eccezione potesse essere opposta dal debitore e che quest’ultimo non avesse mosso obiezioni sull’esigibilità delle partite cedute». Tutti elementi «non contraddetti dalle argomentazioni addotte ai fini dell’appello». Conclusione: l’integrale conferma della sentenza impugnata. E una stangata da 1,1 milioni di euro.