Nessun consenso da parte dell’ufficio di Procura di Vibo – rappresentato oggi in udienza preliminare dal pm Concettina Iannazzo – per il patteggiamento nel procedimento penale nato a seguito dello scandalo del c.d. “cimitero degli orrori” di Tropea. I difensori già il 4 novembre avevano fatto presente al gup, Francesca Del Vecchio, che due dei tre imputati erano intenzionati a patteggiare la pena. 

L’accordo con l’ufficio di Procura in ordine al patteggiamento, e quindi all’entità della pena, non è stato però trovato ritenendo il pm troppo basse le condanne (peraltro con sospensione delle pene) oggetto della richiesta di patteggiamento avanzata dalle difese: 2 anni per Francesco Trecate (di 63 anni, custode del cimitero di Tropea e dipendente comunale, difeso dagli avvocati Giuseppe Di Renzo e Tommaso Zavaglia); un anno e 6 mesi per Salvatore Trecate, di 39 anni (figlio di Francesco), assistito anche lui dagli stessi avvocati.

Per tali motivi il gup ha rinviato l’udienza al 16 giugno prossimo quando per i due imputati si continuerà con l’udienza preliminare e quindi con il rito ordinario. Ha invece optato per un processo con il rito abbreviato Roberto Contartese, di 54 anni, difeso dagli avvocati Giovanni Vecchio e Francesco Muscia. La scelta del rito alternativo permetterà a Roberto Contartese, in caso di condanna, uno sconto di pena pari ad un terzo. Il Comune di Tropea, parte lesa nel procedimento, è rappresentato dall’avvocato Michele Accorinti.

La contestazione

Nel primo capo d’imputazione si contesta il reato di associazione a delinquere. I tre indagati – secondo l’accusa – si sarebbero associati fra loro per commettere una serie indeterminata di violazioni di sepolcro e di soppressione di cadaveri. In particolare, Francesco Trecate, quale promotore, sarebbe stato il principale organizzatore delle singole operazioni e attività dei sodali, curando tutte le fasi dell’attività criminosa, occupandosi dell’organizzazione e della supervisione delle attività illecite del gruppo del quale avrebbe costituito un punto di riferimento quanto alle decisioni da assumere ed a direttive da impartire, nonché si sarebbe adoperato nella predisposizione dei mezzi e nel procacciamento degli strumenti necessari per portare a termine ulteriori reati, attivandosi anche nella materiale soppressione dei cadaveri. L’arco temporale della contestazione va dal febbraio 2019 al 7 febbraio scorso.

Ai tre indagati viene poi contestato il reato di violazione di sepolcro per avere Francesco Trecate, Salvatore Trecate e Roberto Contartese – in concorso materiale e morale fra loro – “violato le tombe di Clotilde Del Vecchio, Romana Marzano, Salvatore Addolorato, Francesco Toraldo, Maria Garibaldino, Antonio Macrì, Maria Cortese, Vincenzo Giovanni Balso”, più altri due sepolcri di defunti con un cognome non ancora identificati (tali Giuseppe e Vittoria). La Procura contesta poi ulteriori violazioni in 16 tombe in cui erano tumulati i cadaveri di soggetti non identificati. In particolare, gli indagati avrebbero proceduto all’estumulazione delle bare all’interno delle quali vi erano le salme dei soggetti citati, in assenza delle prescritte autorizzazioni amministrative ed in violazione della normativa di settore. Il reato è aggravato nei confronti di Francesco Trecate in quanto avrebbe commesso il fatto abusando dei propri poteri ed in violazione dei doveri derivanti dal ruolo di custode del cimitero.

I tre indagati devono poi rispondere del reato di distruzione e soppressione di cadavere. Per la precisione sette cadaveri sezionati con l’aiuto di un seghetto e di un martello. Tali distruzioni sarebbero avvenute – ad avviso degli inquirenti – nelle giornate del 18, 20, 23 e 27 novembre dello scorso anno, del 16 dicembre 2020 e del 22 gennaio scorso. I sette cadaveri appartenevano a soggetti non identificati, procedendo alla loro definitiva distruzione mediante combustione. Con l’aggravante di aver commesso il fatto in un cimitero e l’ulteriore aggravante per il solo Francesco Trecate in quanto avrebbe abusato dei suoi poteri di custode del cimitero.
Ai tre indagati viene poi contestato di aver appiccato il fuoco ai rifiuti prodotti con le precedenti condotte finalizzate alla distruzione dei cadaveri.