Chiamate dirette, fitti alle stelle e fatture allegre. Ecco la relazione che censura il modello Riace

Nel dicembre scorso la prefettura completa la “Relazione della discordia” il cui contenuto è stato trasmesso a Procura e Corte dei conti. Gli ispettori formulano censure che giustificano l’ulteriore verifica di questi giorni da parte del Ministero. Nel mirino le cooperative e il mancato controllo
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di Agostino Pantano
5 settembre 2017
22:55
Mimmo Lucano
Mimmo Lucano

Nei risultati dell’ispezione già effettuata dalla Prefettura di Reggio Calabria, nessun attacco politico al “modello Riace”, semmai la sua difesa espressa finanche in premessa all’atto. Nelle ore in cui arrivano nel paese della Locride gli ispettori del ministero degli Interni, che si sono mossi per ulteriori verifiche su quello chehanno denunciato i colleghi reggini, è quanto mai utile analizzare la Relazione da cui sono discese le polemiche di queste settimane. LaCnews24 è in grado di farlo in esclusiva, sviscerando un documento fin qui inedito, che più volte il primo cittadino Mimmo Lucano – contestandone il contenuto – ha detto di non aver mai letto.

Il taglio degli ispettori

L’ispezione della discordia risale al 20 e 21 luglio del 2016. La Relazione, vergata da un gruppo di tre funzionari – guidati da Salvatore Gullì, oggi come ieri commissario del comune di San Luca - è lunga 25 pagine, più 95 di allegati. Essa è stata fatta propria dalla prefettura nel dicembre scorso.


 

Chi ha indagato a Riace, prima di elencare in 12 capitoli quello che definisce “un primo nucleo di irregolarità amministrative”, sostiene di dover evidenziare anche “gli aspetti positivi del modello Riace (…) che assicura la necessaria accoglienza nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e della dignità degli stranieri presenti”.


Un riconoscimento per quanto fatto negli anni nel paesino calabrese diventato simbolo d’integrazione conosciuto in tutto il mondo, che però non impedisce agli ispettori inviati dal prefetto Michele Di Bari di prospettare“ipotesi di danno erariale”, ma anche situazioni che richiedono l’attivazione della procuraper gli ipotizzati “illeciti profitti”.

Le diverse responsabilità

Nella Relazione si distinguono due tipi di responsabilità. La colpa del Comune sarebbe quella di non aver controllato le spese e la relativa documentazione presentata dai gestori dei progetti.Sul conto di questi ultimi, invece, gli ispettori si sono concentrati sulle 6 cooperative che ogni anno gestiscono un flusso di 1.921.500 euro. La prefettura imputa al comune di legarsi a questi gruppi attraverso Convenzioni stipulate senza una gara pubblica.

Le convenzioni

La chiamata diretta e fiduciaria”, che può essere giustificata una tantum per casi straordinari e non quando un sistema ordinario è datato, non piace agli ispettori. Ci sono “criteri di selezione ampiamente e assolutamente personali e discrezionali – si legge nella Relazione – lesivi della concorrenza, non sembrando conformi ai principi di imparzialità e trasparenza”. I funzionari prefettizi hanno rilevato come questi atti “non prevedono contenuti essenziali quali l’applicazione di penali nel caso di inadempienze, la risoluzione del rapporto e la specifica e complessiva dotazione di personale e relative professionalità da impiegare”. Per quel che si vedrà a breve, però, le censure indirizzate al “modello” non sembrerebbero frutto di un approccio formalistico e rigido, solitamente preferito da chi deve controllare l’applicazione della legge senza badare al contesto straordinario che a volte può far cadere un amministratore sulla classica “buccia di banana” per la troppa fretta. Gli ispettori, infatti, dopo aver sottolineato come “le convenzioni alla scadenza vengano prorogate tramite una mera comunicazione a firma del sindaco, senza alcun riferimento ad una delega o mandato conferito dall’amministrazione comunale”, fanno alcuni esempi degli ipotizzati “accordi collusivi” che potrebbero sorgere visto che il Comune, secondo gli ispettori, non avrebbe previsto clausole di garanzia dell’interesse pubblico.

Se Riace sembra Montecarlo

Ogni anno a Riace si spendono più di 200.000 euro per fittare dai privati le case che vanno ai migranti, e queste abitazioni – si sottolinea nella Relazione – “vengono reperite direttamente e autonomamente dagli enti gestori, senza adeguate ricerche di mercato”. Sulle tante cose censurate in questo capitolo, compresa quella relativa alla “proprietà di alcuni immobili riconducibili a soggetti legati da vincoli di parentela con personale degli enti gestori”, ce n’è una che appare esaustiva della ricaduta economica del modello in ambito locale. “I canoni di locazione – scrivono gli ispettori – non appaiono congrui rispetto al mercato immobiliare locale. Nonostante la classificazione catastale risulti essere spesso A3 (abitazioni economiche), la media dei fitti pattuiti non è mai quasi mai inferiore ad euro 300 mensili”.

Il modello “collocamento”

I 70 operatori che lavorano nelle cooperative costano ogni anno 600.000 euro. Essendo quello di Riace un modello senza paragoni in fatto di importanza etica e numeri, non è possibile stabilire se siano tanti o pochi. Ciò che invece è rilevato dagli ispettori è che i lavoratori “sono stati assunti tramite chiamata diretta fiduciaria e i relativi curricula vitae trasmessi al ministero solo di recente”. Non si sa se Roma abbia chiesto prima e per tempo delucidazioni sull’ingaggio degli operatori di un sistema che ha molte primavere alle spalle; ciò che è certa è la critica contenuta nella Relazione: “non sono presenti, se non in misura sicuramente inadeguata, alcune figure professionali indispensabili”.

 

Il medico dei migranti? Un agronomo

A occuparsi dei migranti ci sarebbe un solo assistente sociale, un solo psicologo e per quanto riguarda i servizi sanitari da garantire “l’addetto alla sanità – si legge nel documento - è munito di diploma di agrotecnico e non possiede altre certificazioni”.

 

Quei migranti in più

Grande spazio viene dedicato alla cura che Riace offre “ad un terzo di ospiti non aventi diritto a permanere nel progetto”. Si tratta di 150 persone straniere aggiunte nel corso degli anni certamente in nome di una sensibilità umanitaria straordinaria, su cui però gli ispettori annotano “una spesa, per almeno euro 638.750, non giustificata”. L’attrazione del “modello” può aver reso flessibile il numero di chi ha trovato riparo in Calabria, ma per la Prefettura i conti non tornano perché “non risulta che sia una sistematica e razionale organizzazione diretta a impedire il protrarsi oltre i termini consentiti e ciò rende incerta la contabilizzazione reale dei soggetti aventi diritto, unico elemento indispensabile per conferire legittimità della spesa”.


Ma se l’allargamento del progetto potrebbe essere giustificato dal tipo di risposta umanitaria intensiva offerta a Riace e dalle lungaggini burocratiche penalizzano i richiedenti asilo, gli ispettori corrono però a chiarire che “si appalesa ormai urgente introdurre misure molto concrete da attuare nel breve periodo per assicurare una maggiore funzionalità dei servizi di accoglienza nel rispetto delle garanzie previste dalle norme nazionali e internazionali”. Gli ispettori lamentano inoltre che i “i regolamenti del Centro di accoglienza non sono stati neppure sottoscritti” ed è concreto “il rischio che ogni ente gestore si regoli a modo proprio”.


La censura della moneta

Ma la prefettura ha dei sospetti anche sulla gestione dei bonus, che a Riace considerano una moneta simbolica. Si tratta della somme che i migranti ricevono mensilmente, dichiarando appunto agli enti gestori di averle incassate. Gli ispettoriavrebbero riscontrato “firme diverse nelle ricevute” intestate allo stesso migrante. Infine, “la scarsa chiarezza nelle fatturazioni”, per chi ha indagato, rende obbligatoria una ispezione più approfondita,che è proprio quella che è in atto in queste ore e che il sindaco Lucano ha contestato, arrivando a minacciare di chiudere i progetti e lamentando di essere bersaglio della burocrazia.

Giornalista
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