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Un’organizzazione criminale spregiudicata che catturava, e vendeva illegalmente, volatili per un giro d’affari che toccava anche il milione di euro l’anno. Stamani i carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria, insieme ai carabinieri forestali hanno eseguito l’operazione “Free wild life”, coordinata dal sostituto procuratore Roberto Di Palma. In sette, su ordine del gip Antonino Foti, sono finiti agli arresti domiciliari; si tratta di Pasquale Repaci, classe 1977, Giuseppe Gagliostro, classe 1963, Angelo Barillà, classe 1972, e poi Rocco Costantino, classe 1958, Giovanni Porpiglia, classe 1991, Demetrio Labate, classe 1957, e Francesco Repaci, classe 1948. Secondo le indagini era quest’ultimo ad essere il presunto capo del sodalizio. Obbligo di dimora invece per Domenica Siclari.
Le accuse contestate dalla procura reggina sono, a variato titolo, quelle di associazione per delinquere, ricettazione, uccisione e maltrattamento di animali. Quando i volatili non erano utili al commercio illegale venivano uccisi senza alcuno scrupolo per imbandire le tavole dei ristoranti di Veneto e Lombardia. I dettagli sono stati esposti in conferenza stampa dai vertici dell’Arma, dal procuratore aggiunto Gerardo Dominijanni e dal neo-procuratore capo Giovanni Bombardieri. «I capi che non erano pregiati- ha affermato il procuratore Bombardieri- e quindi che non servivano per essere immessi in commercio vivi, in un progetto di esportazione che andava verso Malta e quindi a livello internazionale, venivano uccisi con modalità raccapriccianti. Veniva torto il collo, venivano uccisi premendo con un dito sulla testa dell’esemplare, quindi con modalità gravi e spregiudicate». I presunti bracconieri, dal 2016- data di inizio delle investigazioni- sarebbero riusciti a catturare fino a 300 esemplari al giorno che poi venivano commercializzati illegalmente in tutta Italia, toccando persino il mercato di Malta.
Il valore degli animali commerciati illegalmente oscillava, presumibilmente, da 25 a 100 euro ciascuno, a seconda della specie con un rilevante ritorno economico dall’attività illegale compiuta e dalle compravendite susseguenti alla cattura predatoria dei volatili. Un esemplare di “Cardellino” poteva essere venduto per cinquanta euro, così come il “Verdone” e il “Verzellino”, mentre il "Frosone" poteva fruttare, sul mercato clandestino, da 60 a 100 euro. «Siamo in presenza- ha continuato Bombardieri- di un gruppo di persone ben organizzato, con divisione di compiti e di ruoli, con investimenti di fondi per pasturare alcune aree dove avveniva la cattura». Secondo l’inchiesta dei Carabinieri gli indagati prima individuavano le zone con maggior presenza di uccelli, generalmente quelle percorse da corsi d’acqua, che sono state costantemente “pasturate”, ricoprendole con mangime per uccelli, al fine di allettare le prede e abituarle a frequentare quei terreni; per rendere più sicuro l’avvicinamento, gli indagati avrebbero posizionato, in prossimità dei corsi d’acqua, volatili in gabbie chiuse della medesima specie oppure richiami acustici a funzionamento elettromagnetico. Le specie quindi venivano “abituate” a frequentare quei luoghi e successivamente venivano istallate le reti per la cattura.
Il gruppo criminale- come riferito oggi dai vertici del comando provinciale- avevano una natura organizzata ed “imprenditoriale” delle condotte illecite. Disponevano infatti, di ingenti somme destinate per l’acquisto di grandi quantitativi di mangime. Per raggiungere le zone di pastura il gruppo arrivava a percorre anche 500 chilometri al giorno per compiere sopralluoghi, posizionamenti e catture. Un’indagine certosina quella compiuta dai carabinieri reggini e dai carabinieri forestali che solo nel 2016 hanno sequestrato 13.000 esemplari di avifauna protetta, viva e morta.