VIDEO | A Gioia Tauro un furto, a Palmi 2 bandi andati deserti riaccendono i riflettori su una emergenza. L'associazione striglia gli enti e invita a chiedere le risorse del Recovery fund
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Comuni calabresi “rimandati” da Libera, o derubati dai clan, oppure ancora sfiduciati dalle cooperative che sarebbero interessate alla gestione di un bene confiscato alla 'ndrangheta. Due casi limite, a Gioia Tauro e a Palmi, nei giorni in cui l’associazione di don Ciotti riaccende i riflettori – a 25 anni dal varo della legge sul riutilizzo a fini sociali del patrimonio dei clan – sull’intensità di una promozione che non è mai abbastanza. È stato pubblicato un report nazionale, si intitola provocatoriamente “Rimandati”, che attesta come in Calabria su 139 i Comuni destinatari di beni confiscati, appena 51 di questi hanno un sito internet dedicato con l’elenco aggiornato.
«Quello della pubblicità – chiarisce l’avvocato Lucia Lipari, che fa parte dello staff regionale di Libera – è un obbligo di legge, ma soprattutto un modo per informare in maniera aperta su uno strumento fondamentare per costruire comunità responsabili». Quello della responsabilità è un problema che stanno avendo a Palmi, in relazione alla mancata assegnazione di ben 14 beni confiscati alla cosca Gallico. «È la seconda volta che va deserto il bando che il Comune propone», chiarisce preoccupato il sindaco Giuseppe Ranuccio, che ammette «il brutto segnale», ma si da anche una spiegazione. «In qualche caso – afferma – la destinazione d’uso vincolata decisa dall’Agenzia nazionale non rende appetibile il bene. Noi abbiamo aperto una interlocuzione per verificare dove sia possibile che, faccio un esempio, una struttura destinata al turismo rimanga tale, oppure che si dia la possibilità a chi lo chiede di usare il bene con un ventaglio ampio di possibilità».
Quello della rigidità burocratica è un altro problema, quindi, che si aggiunge ad un altro che nella vicina Gioia Tauro conoscono bene. In settimana, a pochi giorni dall’assegnazione al Comune di ben 13 camion confiscati al clan Gramuglia, qualcuno ne ha rubati 2. «Hanno scavalcato il muro tramite una scala – racconta Sabina Ventini, consigliera comunale del gruppo De Ma – poi hanno rotto un lucchetto e spalancato un grande cancello agevolati dal buio, dalla mancanza di videosorveglianza in questa che è una zona di campagna». Il furto, di una dinamica inquietante, è avvenuto all’interno di un altro bene confiscato – l’ex Silo, un’industria di trasformazione confiscata al clan Piromalli – e l’assessore Rocco Italiano spiega il tipo di rammarico doppio: «Questi due mezzi che avevamo testato poche ore prima del furto, ci servivano per migliorare la raccolta differenziata».
Il sindaco Aldo Alessio ha chiesto al prefetto di convocare un Comitato per l’ordine e la sicurezza. «Serve il controllo del territorio – esorta il primo cittadino – per far capire a questa gente che non può pensare che la città sia terra di nessuno». Due storie opposte, due problemi diversi riconducibili a quello che Lipari definisce «necessità di un migliore coordinamento nella filiera istituzionale, che può anche pensare di attingere alle risorse del Recovery fund per potenziare la videosorveglianza o effettuare quella manutenzione spesso indispensabile».