«No… Non ci riesco…». Matilde non trattiene le lacrime. Prova a nascondersi dall’obiettivo della videocamera, dietro le spalle del marito. Mentre cammina il pavimento cigola. Anche qui le ferite lasciate dal rogo del 19 luglio sono evidenti. Tutt’intorno macerie ridotte a carbone.

 

Catanzaro Lido, Giovino, è tutto ciò che resta del Lido Jonio: una struttura morta, dalla quale però non è stato licenziato alcuno. 

Matilde, Aniello e il loro incubo

Matilde Talotta, è una giovane imprenditrice la cui bellezza non sfiorisce con le lacrime e la tristezza. Aveva preso in gestione il lido un anno e mezzo fa. Un’avventura condivisa con il marito, Aniello Grampone, erede di una importante tradizione nel settore della ricettività e del turismo. Un tipo capace, caparbio, abituato a sgobbare sin da quando era bambino, che guida un’altra struttura d’élite all’ombra della pineta di Giovino: il ristorante Stella Maris.

 

Proprio Aniello, con la moglie Matilde e il papà Antonio, vive ormai da mesi ostaggio di un vero e proprio incubo, alle prese con un’escalation di intimidazioni, avvertimenti, danneggiamenti che rischiano di mettere in ginocchio le loro attività e le loro vite.

L’incendio, apice di una spirale

Racconta Matilde: «Vivo ancora alcuni momenti di quella sera. Il fuoco che divorava tutto, io su un’ambulanza e la musica, assordante, degli altri lidi…». Anzi, spiega il marito: «Hanno alzato il volume… La musica a tutto volume mentre i nostri sogni bruciavano». Come dire: per altri, quel momento, era di festa. Circa 120.000 euro di danni, più il mancato guadagno, tutto ciò in un’estate da sold out, finita propria nell’alta stagione.

 

E’ stato il momento estremo di una spirale iniziata con un episodio che Aniello Grampone aveva forse sottovalutato: «Una mattina ci svegliamo e troviamo gli asciugamani dei bambini bruciati. Non riuscivamo a spiegarci cosa fosse successo, ma non abbiamo pensato che posse essere un’intimidazione. Avete capito? Parliamo dei bambini! Erano i loro asciugamani!». Pochi giorni dopo un altro segnale inquietante: «Qualcuno bruciò una finestra, parliamo di una finestra in materiale plastico, roba che non prende fuoco col caldo e per incendiarla ti ci devi mettere d’impegno…».

 

E così, via via, ne succedono di tutte. Furti, danneggiamenti, aggressioni. E’ stato perfino sabotato l’impianto frenante della moto di Aniello. «Se non ce ne fossimo accorti di quello zampillo d’olio che mi era finito addosso, mi sarei ammazzato da qualche parte…».

Mafia e mafia a Catanzaro Lido

Perché tutto questo, che succede a Catanzaro Lido? Qui c’è mafia e mafia. La zona è sotto il controllo degli emissari delle cosche crotonesi ma come i Grande Aracri di Cutro anche gli Arena, negli ultimi anni, sono stati fiaccati dagli arresti. E poi c’è un mercato che non perdona il successo, anche se costruito onestamente, specie se fa ombra ad altri. Un mercato che vuole imporre prezzi, che detta le condizioni per convivere o per sopravvivere.

«Ma non siamo soli»

Sono soli i Grampone? «No - dice Aniello – non lo siamo mai stati. Abbiamo trovato conforto nelle istituzioni, nella magistratura, nell’operato della Stazione dei carabinieri e nella polizia. L’avvocato Carvelli ci sta seguendo con una dedizione e un’affetto straordinari, come un fratello. Ma ci sono anche altri imprenditori che ci hanno aiutato. C’è chi ha messo a nostra disposizione un container, chi altri tipi di mezzi. C’è del marcio qui, e tutto quello che abbiamo subito ne è la prova, ma c’è anche gente perbene, sensibile, di grande cuore».

L’appello alle istituzioni

Aniello, così, lancia un appello. Alle istituzioni, tutte. Dalla magistratura al Comune di Catanzaro: «Aiutateci, vogliamo ricominciare, non ci arrendiamo. Abbiamo la forza e il coraggio di rimetterci in piedi ma abbiamo anche bisogno dell’aiuto delle istituzioni, anche per dare un segnale forte a chi ha inteso colpirci che chi lavora onestamente ed ha successo non è solo ed è più forte».