VIDEO | Il 45enne è affatto da adrenoleucodistrofia con tetrapresi spastica e per i medici non sarebbe vissuto a lungo. Ma l'amore di sua madre l'ha reso più forte di tutto. La storia arriva da Scalea
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Emanuele De Bonis è nella sua stanza, come sempre, disteso sul letto, respira rumorosamente e sembra fissare il soffitto. In realtà non vede, dicono i dottori, e non sente, non parla, non cammina. Ha 45 anni e la sua vita è così da oltre 35. Ne aveva soltanto 8 anni quando, improvvisamente, la sua breve vita è stata sconvolta da una diagnosi agghiacciante: adrenoleucodistrofia con tetrapresi spastica. Si tratta di una malattia degenerativa e altamente mortale che colpisce il sistema nevoso e le ghiandole endocrine. Per i dottori che lo visitarono, la battaglia di Emenuele sarebbe dovuta essere finita da un pezzo. E invece, grazie all'amore di sua madre, Anna Cervati, ha distrutto ogni tragica previsione.
La madre: «Non potrei vivere senza di lui»
Per capire meglio il sentimento che lega il 45enne e sua madre, basta immergersi nelle parola di lei, fragile e minuta nel corpo, forte e instancabile nello spirito, che l'ha difeso da ogni cosa, quando anche la scienza non sapeva come fare e il mondo le si sgretolava sotto i piedi. «Emanuele è tutta la mia vita - dice -. So che potrebbe accadergli qualcosa in qualsiasi momento, me lo ripeto da sempre, ma io non sono pronta a perderlo e non lo sarò mai».
Il drammatico racconto
Il dramma di Emanuele, che vive con la sua famiglia a Scalea, comincia prestissimo. È un bambino sveglio e intelligente, a scuola è piccolo genio, conosce a memoria i nomi dei dinosauri, ma improvvisamente, da un giorno all'altro, sbaglia l'entrata in classe, non ricorda più qual è la sua, non riesce più a scrivere nel rigo o a incolonnare i numeri. Poi comincia a sbattere contro i muri. «Mamma, vedo doppio», lamenta il piccolo. La visita dall'oculista, rivela, effettivamente, un leggero strabismo, che si fa via via sempre più evidente, ma il nervo ottico non ha lesioni di alcun tipo e il medico intuisce che potrebbe trattarsi di un problema neurologico.
Il via vai negli ospedali
Anziché giocare spensierato come tutti gli alti bambini, Emanuele comincia il suo tour negli ospedali di tutta Italia, in cerca del nome della malattia che pian piano gli sta togliendo le forze. Già dalla prima tac viene rilevata una lesione al cervello, ma è all'istituto Carlo Besta di Milano che la sua famiglia scopre contro quale mostro dovrà lottare. Per Anna e suo marito la diagnosi è un pugno allo stomaco, soprattutto quando il piccolo comincia a peggiorare di ora in ora. I grassi saturi, che il suo organismo produce in eccesso per colpa di un enzima che non funziona come dovrebbe, stanno distruggendo alcune cellule, le quali, a loro volta, stanno provocando un danno neurologico irreversibile.
La forza di Anna
Anna diventa l'ossigeno di Emanuele. È solo lei che capisce gli stati d'animo del figlio, che intuisce quando ha un dolore, quando è triste oppure quando è felice. Capita sempre quando arriva a fargli visita suo fratello Eros, a cui era ed è legatissimo. La donna si sveglia all'alba per preparargli una dieta rigidissima, che limita, in qualche modo, l'avanzare della malattia. E sempre lei si presenta nelle trasmissioni televisive più importanti d'Italia a denunciare le condizioni delle famiglie con disabili, a denunciare gli scempi di una società che isola ed emargina le persone in difficoltà. Anna è stanca, ma va avanti, mossa dall'amore incondizionato per il suo Emanuele. Poi 10 anni fa la malasorte torna a bussare alla sua porta. Suo marito muore e successivamente se ne vanno anche i suoi genitori. È dolore che si aggiunge ad altro dolore e alle preoccupazioni per i problemi di salute che una vita piena di sofferenze le ha causato. Oltretutto, dopo la morte del consorte è costretta a vivere con i soldi della pensione di invalidità di suo figlio. Ma la donna non si ferma e lotta con le unghie e con i denti per difendere i diritti di Emanuele e garantirgli un futuro dignitoso.
Niente centri calabresi per Emanuele
Pur potendo contare sull'assistenza sanitaria del personale incaricato, è l’unica che sa come gestire la malattia di Emanuele, già tre volte è entrato in coma nel corso della sua esistenza. Il ragazzo, oltretutto, non può essere trasportato su un’ambulanza perché le posizioni a cui non è abituato lo esporrebbero a seri rischi. «In Calabria non ci sono centri sanitari che potrebbero accogliere Emanuele - dice sua madre -. Servirebbero stanze sanificate perché non ha anticorpi, servirebbe anche del personale specializzato e anche degli strumenti per controllare gli acidi grassi che sono responsabili della sua malattia». Ma tutto questo nella nostra regione è una chimera. «Il centro più vicino è a Roma. Ma per il trasporto bisognerebbe avere a disposizione un elicottero. Con un'ambulanza attrezzata il viaggio è a carico nostro ed è di circa 2mila euro per l'andata e il ritorno. L'ultima volta che lo abbiamo portato in un ospedale è stato 5 anni fa».
Insieme, fino alla fine
Anna è una donna molto provata, eppure non ha mai sognato un'altra vita, non se la immagina senza il suo Emanuele, senza i suoi due figli. I loro nomi se li è tatuati sulla pelle. «Spesso penso a come sarebbe la vita di Emanuele se a me dovesse accadere qualcosa - dice preoccupata -, ma al tempo stesso so che non potrei sopravvivere alla sua assenza». Lui vive attraverso sua madre, mentre lei rimane in piedi per poterlo stringere ancora tra le sue braccia. Nonostante i momenti bui, Anna rimane aggrappata alla sua più grande certezza: rimetterebbe al mondo Emanuele altre 100, 1000 volte per poterlo amare ancora.