Procura e squadra mobile ricostruiscono l’«azione dimostrativa» del 19enne Paolo Labate contro il proprietario di un panificio: «Sono sceso e l’avevo ammazzato. Se passavi sotto casa mia sembrava il Far West»
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«Gli sono entrato al forno col fucile. Gli avevo ammazzato a tutti, è venuto mio suocero, mia suocera, Peppe Rambo». Paolo Labate, nipote del boss ergastolano Filippo Barreca, racconta a un amico i fatti del 15 luglio scorso, ordinaria giornata di follia che gli ha aperto di recente le porte del carcere. Per motivi che gli investigatori ritengono futili, nel mirino del 19enne era finito un fornaio di Reggio Calabria. Labate voleva fargliela pagare e non ha badato alla misura: ha preso un fucile a canne mozze e si è diretto verso il panificio. A spasso con l’arma nella zona Sud della città, è arrivato a destinazione per farsi “giustizia”: «Sono sceso, compare, e l’avevo ammazzato, meno male che non c’era… sono entrato là e gli ho detto: dov’è Paolo? “Non c’è”. Con il coso nelle mani».
Il racconto agli amici continua «in un inquietante crescendo di ferocia»: «Gridando cose mai viste – dice Labate – ma me ne fotto compare… sono arrivato là dentro compare, scioccati (…) non hai capito, se passavi sotto casa mia il Far West sembrava». Il Far West si scatena dopo una serie di messaggi arrivati al ragazzo sui social: a quel punto, «senza pensarci due volte» esce di casa, si arma e va a cercare «l’uomo con il preciso intento di ucciderlo».
Per dirla con le sue parole: «Sono andato là ai portici, ho preso due botti, ho preso due cose li ho caricati e ho detto adesso faccio danni. Ora mi faccio arrestare a modo mio, ho detto nella mia testa». Il finale della storia, in effetti, Labate lo aveva intuito.
Sono proprio queste conversazioni a rendere possibile la sua individuazione: ci sono poi anche le immagini estrapolate dai sistemi di videosorveglianza «che ritraggono nitidamente Labate sulla pubblica via armato di fucile mentre si avvia verso il panificio e poi vi si introduce». La ricostruzione del percorso ha consentito anche di ritrovare il fucile utilizzato per l’azione dimostrativa dello scorso primo novembre. Quel fucile – una doppietta a canne mozze marca Ignacio Ugarrtechea – sarebbe, peraltro, provento di un furto. Per questa ragione la Procura di Reggio Calabria contesta a Labate anche il reato di ricettazione.
Altri guai per il giovane arrivano da Instagram: gli investigatori, infatti, vedono in una foto scambiata sul social network la mano di Labate, «riconoscibile per via di un tatuaggio e di un bracciale» mentre «conservava, in mezzo ad alcune sterpaglie un fagotto avvolto da cellophane che per dimensioni e morfologia era compatibile con un fucile». In quel fagotto, gli agenti trovano effettivamente un’arma.
Le contestazioni provocano la reazione rabbiosa di Labate: dice che suo nonno «si è fatto quarant’anni di carcere e non ha pianto». Il resto delle espressioni è irriferibile.