Colori, gente sui balconi e dolci per strade. 15 anni fa a Cosenza si svolse la manifestazione in favore degli arrestati per l'operazione contro la "Rete Meridionale per il Sud Ribelle". 42 indagati, di cui 22 per associazione sovversiva, accusati di avere orchestrato le violenze e le devastazioni durante il Global Forum di Napoli e il G8 di Genova.
Era il 23 novembre del 2002, alcuni degli arrestati erano stati scarcerati il giorno prima: il corteo si apriva con in testa il sindaco di Cosenza Eva Catizone e alcuni degli indagati, che vennero poi tutti assolti.
A 15 anni di distanza, pubblichiamo oggi il ricordo di Paride Leporace, attuale presidente della Basilicata Film Commission ed ex direttore di Calabria Ora.

 

 di Paride Leporace Quindici anni fa , il 23 novembre, la mia Cosenza, accolse con dolci, abbracci, ospitalità e festa un'imponente manifestazione nazionale (60000 per gli organizzatori, 20000 per la questura, una moltitudine di persone) che chiedeva la liberazione di persone arrestate con logica da inquisizione per le loro idee politiche. I lunghi processi della cosiddetta operazione No Global si sono conclusi con assoluzioni. Quella data resta nella Storia di una città votata all'eresia dai tempi di Telesio e Campanella. Adriano Sofri nella sua rubrica sul Foglio scriverà che tutto questo era anche “un’affettuosa eredità della buona immagine paterna di Giacomo Mancini”. E a mio parere, aveva buone ragioni, considerato che il vecchio leader socialista aveva sempre condotto i suoi cittadini a ragionare con cultura garantista nei confronti di ogni libero pensiero e di qualunque arrestato.


Scrisse Francesco Merlo, all’epoca editorialista del Corriere della Sera: “Insomma, Cosenza è un pezzo d’Italia impazzita, dove il Comune, che paga le spese legali degli imputati, con fasci di fiori e fanfare e autobus gratis e cibo, ha accolto i no global come fossero i nuovi garibaldini partiti da Quarto per liberare la città dalla procura borbonica”. Per Luca Casarin, al tempo leader dei no global e inquisito: “La manifestazione di Cosenza è stata più emozionante della marcia nel Chiapas”. In effetti in Italia non ci sono forse precedenti di tanta osmosi tra manifestanti e comunità. Troppo sproporzionato il teorema, conosciute le persone per non poter essere ritenuti dei terroristi e gli anticorpi della mobilitazione resero indimenticabili quelle giornate intense e vive tutte tese alla richiesta della libertà per gli arrestati. Persino la destra nazionale mobilitata a favore di Berlusconi si mise dalla parte del torto.


Per capire quel garbuglio emergenziale, voluto da certa pseudodestra politica calabrese e da falchi giudiziari da sempre passeri a Cosenza con il potere politico istituzionale e la mafia dei colletti bianchi, bisogna rileggere l’analisi che fece su Repubblica il compianto Peppe D’Avanzo: “Accade che il Raggruppamento Operazioni Speciali (Ros) dell’Arma dei Carabinieri si convinca che dietro i disordini di Napoli (7 maggio 2001) e di Genova (21 luglio 2002) non ci sia soltanto il distruttivo, nichilistico furore di casseur europei o il violento spontaneismo delle teste matte (e confuse) di casa nostra, ma addirittura un’associazione sovversiva. Concepita l’ipotesi gli investigatori dell’Arma intercettano, spiano, osservano, pedinano. In assenza di contradditorio, s’acconciano come vogliono cose, frasi, dialoghi, eventi, luoghi edificando una conveniente e coerente cabala induttiva. E’ il sistema che più piace agli addetti “lavorare su materia viva a mano libera”. Organizzare il quadro, occorre ora trovare un pubblico ministero che lo prenda sul serio”. Lo trovarono a Cosenza con altre toghe di ugual pensiero.


Quindici anni dopo, incanutiti e inevitabilmente cambiati i protagonisti della vicenda, che riflessioni portano al testimone dei fatti chiamato al narrare dei fatti? Innanzitutto quel movimento, come accade ai movimenti, è in fase di risacca prolungata a livello mondiale. I nuovi approdi sono lontani all’orizzonte delle sane Utopie e le derive invece sono sotto gli occhi di tutti. Ma io credo che la vecchia talpa continua a scavare.


L’anniversario sui social, termometro dei tempi nuovi, a Cosenza registra una forte presa identitaria che fa dire ai molti: “c’ero anch’io e fu bello”. Per gli ingiusti perseguitati è stata un’esperienza di vita segnante che muove ancora il loro agire. Il fatto che il sindaco dell’epoca, Eva Catizone oggi abbia scelto di stare con il sindaco del centrodestra, mentre tre lustri fa si mise a capo di quell’insolito Movimento, provoca in diversi (ma non tutti) settori della sinistra commenti amari conditi al vetriolo. Ma le vicende della sinistra nazionale oggi determinano all’infinito questo genere di discussioni rancorose e spesso poco analitiche.


Agli storici il compito di trarre analisi e conclusioni legati a tempi nuovi che modicano velocemente il nostro vivere. Quella manifestazione, io credo, sia stato un anello di congiunzione tra Novecento e XXI secolo denotando una caratteristica ricorrente della città di Cosenza tesa alla difesa dei diritti e delle libertà civili.


Un antico motto recitava: “Quello che Cosenza pensa Napoli fa”. E forse nella vicenda del sindaco De Magistris e dell’ex onorevole Caruso c’è riscontro alla vecchia massima d’Accademia.


A piè di pagina, mi sia consentita, una citazione a uno dei tanti protagonisti di quella vicenda. Franco Piperno, già perguitato negli anni Settanta per le sue idee, dopo la liberazione momentanea fu accolto a Cosenza da un corteo festoso con la banda musicale. Nel 2012 era l’assessore che dal Palazzo comunale dava linfa ai corsi e ricorsi della Storia. In quella città mai infeudata, come a Macondo la fantasia ha avuto il suo simpatico momento di Potere.