Ducale

’Ndrangheta e politica, si allarga l’inchiesta a Reggio Calabria: indagati l’ex senatore Bilardi e l’assessore comunale Mimmo Battaglia

I fari della Procura anche sul consigliere comunale Cardia (Lega). L’ipotesi di reato è scambio elettorale politico-mafioso. L’11 giugno scorso l’operazione della Dda sulle attività della cosca Araniti di Sambatello

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di Redazione Cronaca
4 luglio 2024
12:18
A destra, dall’alto: Mimmo Battaglia e Giovanni Bilardi
A destra, dall’alto: Mimmo Battaglia e Giovanni Bilardi

Si allarga l’inchiesta della Dda di Reggio Calabria sulle relazioni pericolose tra ’ndrangheta e politica. Nel registro degli indagati sono stati iscritti l’ex senatore Giovanni Bilardi, l’ex consigliere regionale e assessore comunale di Reggio Calabria Domenico “Mimmetto” Battaglia e Mario Cardia, consigliere comunale della Lega. L’ipotesi di reato a loro carico è scambio elettorale politico mafioso.

I tre politici risulterebbero dunque coinvolti nell’inchiesta “Ducale” che lo scorso 11 giugno ha portato all’emissione di 14 misure cautelari: 7 indagati sono finiti in carcere, 4 ai domiciliari e per 3 il gip Vincenzo Quaranta ha disposto l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.


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L’indagine ha illuminato le attività della cosca Araniti di Sambatello nella periferia Nord della città dello Stesso: attività che avrebbero “inquinato” le elezioni regionali del 2020 e del 2021 e le elezioni amministrative del settembre 2020. In “Ducale” – condotta dal Ros con il coordinamento del procuratore Giovanni Bombardieri, degli aggiunti Stefano Musolino e Walter Ignazitto e del pm Salvatore Rossello – sono indagati, tra gli altri, anche il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà, il consigliere regionale di Fratelli d’Italia Giuseppe Neri e il consigliere comunale del Pd Giuseppe Sera. Per questi ultimi due, la Dda ha presentato appello al Tribunale del Riesame dopo che il gip ha rigettato la richiesta di misura cautelare in carcere.

Tra gli arrestati, invece, figurano il presunto boss Domenico Araniti e suo genero Daniel Barillà che, secondo gli inquirenti, sarebbe stato il tramite tra la cosca e la politica.

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Le accuse della Dda a Neri: accordo con Barillà per le Regionali

Neri, candidato alle elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale della Calabria del 2020 e del 2021, secondo l’accusa avrebbe «accettato la promessa di procurare voti in suo favore da parte di appartenenti all'associazione mafiosa e, più precisamente, alla cosca Araniti, operante prevalentemente all'interno del territorio urbano di Reggio Calabria e, in particolare, a Sambatello, e comunque da parte di soggetti che ne rappresentavano la volontà poiché autorizzati dal capocosca Domenico Araniti “il Duca” (…) minacciando coloro che facevano campagna elettorale in favore di altri candidati come, ad esempio, in occasione delle minacce rivolte da Daniel Barillà e Ignazio Borruto, a Stefano Bivone (presidente provinciale della Coldiretti di Reggio Calabria), nonché di altra persona titolare di una scuola guida reggina, per indurli a non votare il candidato concorrente Creazzo Domenico ed orientare il loro consenso elettorale verso il candidato Giuseppe Neri». Per gli inquirenti, «lo stesso Neri si era accordato con Daniel Barillà, dedito all'infiltrazione del settore politico-istituzionale, che operava su mandato e con la supervisione del capocosca Domenico Araniti, e con il supporto dei sodali Paolo Pietro Catalano e Ignazio Borruto, nonché di Sergio Rugolino, mediante i quali veniva attuata la promessa di raccogliere voti».

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Le accuse a Sera e la promessa di un incarico per il figlio del capoclan

Sera, da parte sua, si sarebbe accordato con il capoclan Araniti recandosi presso la sua abitazione il 6 settembre 2020, nonché con Daniel Barillà, «rappresentante politico e intermediario per conto della cosca Araniti, su mandato e con la supervisione del capocosca e con l'ausilio di Paolo Pietro Catalano (indagato), hanno attuato la promessa di raccolta voti in cambio dell'erogazione e della promessa di varie utilità, tra le quali, la promessa di inserire Antonino Araniti, figlio di Domenico, nella struttura politica comunale del Partito democratico, con il contestuale impegno a spostarlo dall’Ufficio comunale Settore Patrimonio ed Erp cui apparteneva, cercando di evitargli le sanzioni disciplinari derivanti dalla sua condotta negligente nello svolgimento dei compiti connessi al suo rapporto lavorativo (sanzione tuttavia comminatagli, con licenziamento disciplinare)».

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