Cinque anni fa, oggi, l’Italia chiudeva. Nove marzo duemilaventi, lockdown. Quarantena. Tutti dentro le case, con i balconi aperti e l’aria di chi non credeva a quello che stava accadendo. Meme, tutorial su come imbastire le mascherine a mano, l’ironia sulla Dad al ritmo di Feliz Navidad, i pigiami usati come vestiti. È cominciato tutto con milioni di selfie sui divani, a tavola. Sembrava tutto finto, impossibile. Una puntata di The Walking Dead.

Conte ci serviva la sua faccia contrita ogni sera mentre i numeri dei contagi salivano lentamente e sui social si moltiplicavano i gruppi delle fan del premier che si phonavano in attesa della diretta da Palazzo Chigi. L’Italia non era ancora puntinata di rosso. C’erano zone calde a cui si guardava con paura ma ringraziando il Cielo che fossero così lontane dalla Calabria. Ma l’epidemia ha cambiato nome in fretta, è diventata pandemia, e nessuno ne è stato immune.

Il Covid, per la Calabria, è stato un po’ un liquido di contrasto che ha evidenziato un male che era già in fase avanzata da tempo. Solo che, come si dice, finché la barca va, lasciala affondare.

Ripercorriamo questi anni di un’apocalisse che ha cambiato tutto e tutti. Se in meglio o in peggio nessuno l’ha ancora capito.

Com’è cominciata

A febbraio l’incredulità. L’Italia si unisce nella paura che qualcosa di tremendo, assurdo, inaspettato, possa decimare la popolazione. In Calabria si comincia a pregare perché tutti sanno che la nostra sanità è fatta di buchi, milioni mangiati e commissariamenti infiniti, che l’hanno resa sottile come un velo di cipolla. Per rompere questo sistema non serviva un terremoto, bastava un refolo di vento. E qualcuno adesso inizia a soffiare, forte.

Casalpusterlengo-Cetraro, sola andata

Non si tratta più di monitorare il primo caso dell’anziano originario di Cetraro, arrivato con un pullman da Casalpusterlengo, e risultato positivo ai primi controlli. Adesso il conto inizia a sfuggire da un calcolo a mente. Tutte le province sono colpite, ma il trend rispetto al resto d’Italia è ancora confortante. La Calabria tiene e guarda con un brivido ai numeri della Lombardia.

Il pensiero comune è: se accadesse qui, sarebbe un disastro ancora più apocalittico.

L’informatore scientifico di Rende

Il 7 marzo viene ricoverato nell’unità operativa di malattie infettive un informatore scientifico di Rende. Si chiama Paolo Oliva e ha 65 anni. Originario di Tarsia ma residente a Rende, dopo alcuni giorni passati in casa con la febbre, viene ricoverato all’Annunziata. Il 19 marzo muore. La psicosi per un male sconosciuto inizia a prendere il sopravvento. 

L’Italia è in lockdown, ma la paura non resta fuori dalla porta. Nei supermercati si entra a gruppi. C’è la fila a serpentone all’esterno, alle casse è vietato comprare matite colorate e quaderni, solo beni di prima necessità. Le mascherine coprono i volti, mentre una voce registrata dagli amplificatori ricorda di mantenere le distanze. Anche toccare il pomello del portone senza guanti, diventa un atto sovversivo, pericoloso, e basta un colpettino di tosse per scatenare il sospetto degli altri. Si diventa appestati anche solo per un’allergia.

La prima ordinanza

L’11 marzo, arriva la prima ordinanza, la Calabria si mette sulla sulla scia di altre regioni: chiusi parrucchieri, barbieri e centri estetici fino al 3 aprile. 

Nella stessa data dalla regione avvertono che è stato attivato il piano di emergenza Coronavirus. La Santelli, in accordo con il Commissario Straordinario Cotticelli e con il supporto del Dipartimento Salute, approva il piano che prevede l’attivazione di 400 posti letto di terapia intensiva e subintensiva e uno per le assunzioni di personale medico e personale sanitario non medico a tempo determinato, finalizzato alla gestione dell’emergenza.

Il bando per l’assunzione dei medici viene pubblicato a fine ottobre, in piena seconda ondata. A metà marzo i casi iniziano a crescere. Reggio Calabria è la provincia più colpita. Il 17 marzo il comune di Montebello Jonico (Rc) e quello di San Lucido (Cs) vengono dichiarati zona rossa, il 21 stessa sorte tocca a Cutro (Kr). Il 22 l’intera Calabria viene chiusa. Viene sollecitato l’intervento dell’esercito mentre il presidente Santelli si appella ai calabresi residenti fuori regione: non tornate.

Aprile, tutti dai balconi e il New York Times ci massacra

Il 23 aprile, il New York Times dipinge col pennello duro la Calabria così: «La sanità, in particolare, rimane un’area in cui un misto di clientelismo politico, cattiva gestione e influenza della criminalità organizzata ha lasciato il sud molto indietro. Anche prima che il virus colpisse, alcuni degli ospedali della regione erano così profondamente indebitati che dovettero essere posti sotto amministrazione esterna e spesso i meridionali si recavano a nord per le procedure mediche».

Anticipando i tempi la Calabria riapre: via a spostamenti tra Comuni, attività sportive individuali, spostamenti per raggiungere le proprie imbarcazioni, ripresa della attività di ristorazione da asporto. Scoppia la guerra col governo che impugnerà il provvedimento poi annullato dal Tar il 9 maggio.

Un’estate libera e la polemica di Klaus Davi

Dal 3 giugno niente quarantena obbligatoria per chi arriva da fuori e riapertura delle discoteche. Siamo in piena fase 3. «Abbiamo salvato la Calabria» è il mantra che si ripete nei corridoi della giunta regionale. Le spiagge si affollano e così ristoranti e locali notturni. 

Un video fatto realizzare da Klaus Davi invita la gente a venire a trascorrere l’estate in Calabria, dove non c’è rischio Covid (secondo lui). L’invito a mantenere un atteggiamento prudente si disperde nelle storie Instagram che raccontano di feste affollatissime senza distanziamento. I calabresi, anche i giovanissimi, viaggiano, vanno all’estero per le vacanze e poi rientrano, molti si contagiano e contagiano. Il viaggio del virus ricomincia da qui. Il Covid torna a far paura. I numeri risalgono. La situazione in Italia peggiora e anche in Calabria stavolta.

Un autunno da incubo

Riflettori sulle scuole che sono impreparate ad affrontare l’ignoto. Di una cosa sono tutti sicuri: vanno riaperte. le classi si spaccano, i genitori si dividono in due fazioni: chi è fatalista e preferisce che i figli vadano a scuola, i cauti che vorrebbero prolungare la Dad. Vengono promessi infermieri per ogni Istituto scolastico, ma in molte scuole questi infermieri non si sono mai visti. Il bollettino inizia a raccontare cifre decisamente diverse dalla scorsa primavera: +254 casi al giorno. La Calabria viene dichiarata Zona rossa.

Le dirette dalla Regione e il passaggio di consegne

Spirlì intanto è al comando della Regione. Il presidente facente funzioni, tra un’ancestrale «annacata al pecoro» e una diretta, si inventa il format giusto, rigorosamente homemade, a misura di cucinino a tre fuochi. Due anni dopo l’emergenza è alle spalle. Tre anni dopo i bollettini cessano di avere la dignità della seconda pagina. Si ritorna alla normalità promettendo che tutto quello che è accaduto sarà di lezione per il futuro.

L’era Occhiuto e tanta voglia di Caraibi

Intanto ci siamo fatti fuori più di un commissario ad acta e la Calabria è tornata alle urne incoronando il suo governatore, Roberto Occhiuto. I vaccini hanno spaccato in due il Paese e la pazienza di tutti, i reparti si sono svuotati, riempiti, svuotati e riempiti di nuovo. Intanto, finalmente, la Regione ottiene il suo piano pandemico (ci piace fare le cose con molta calma) e continua a cambiare colore come un livido. 

Occhiuto, da commissario della sanità, comincia la sua battaglia per compensare la mancanza di personale attingendo da Cuba e dai suoi camici bianchi e comincia un braccio di ferro con Cosenza per la costruzione del nuovo ospedale. Ad oggi, però, la strada per trasformare la Calabria in una punta di eccellenza ed efficienza è lontanissima e dalla Cina intanto arriva un nuovo allarme virus. Ma per il momento fingiamo che sia solo un’influenza.