Il mondo che corre si ferma davanti alla rappresentazione della Natività. Una tradizione non soltanto religiosa ma anche legata alle nostre radici culturali. La poesia “U presèpiu mio!”
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In questo periodo di Avvento che precede il Santo Natale, soffermandomi a guardare i presepi nelle varie chiese della mia Pizzo che, per fortuna, ancora vengono allestiti grazie a un nutrito numero di fedeli che ogni anno si dedicano con tanta devozione ed altrettanta passione, meditavo che la frenesia del vivere di oggi ci rende distratti, a volte persino nevrotici, nel proprio turbinio del continuo correre e rincorrere, e non ci accorgiamo del bello e dell’autentico che ci passa accanto. Come se mangiassimo senza assaporare le pietanze, ingurgitiamo e basta!
Eppure, il mondo che corre si ferma davanti al presepe. I pastori e le varie scenografie dei presepi, realizzati con passione e maestria, se indugiamo un attimo e li osserviamo con occhi attenti, oltre alla meditazione sulla natività di Nostro Signore Gesù, hanno la capacità di riportarci indietro nel tempo, facendoci rivivere frammenti di vita passata, quando ogni cosa aveva un sapore genuino, ogni gesto un senso profondo, quasi un rito. I pastori, genti d’altri tempi, si animano, raccontano il loro lento vivere, quando il tempo era scandito dalle campane delle chiese e ogni cosa andava fatta secondo regole ben precise che la natura dettava. Ogni chiesa, poi, custodisce una o più statuine che, oramai ultra centenarie, rappresentano personaggi realmente esistiti che raccontano le loro storie, così come le botteghe e gli artigiani nel loro lento operare, riconosciute ed indicate ognuna col proprio nome. Tra queste statuine, una delle più celebri, conosciuta come “Rosa ‘i l’acqua”, la possiamo ammirare nel presepe del duomo di San Giorgio. Una popolana vissuta nella prima metà del secolo scorso che abitava proprio nei pressi del duomo e che per pochi spiccioli riforniva di acqua gli abitanti del quartiere, quando ancora le case erano sprovviste di fontane e bisognava approvvigionarsi in quelle pubbliche.
A parte queste bellissime opere create nelle chiese da maestri esperti, nelle case dei calabresi la preparazione del presepe, o più semplicemente la sola capanna con la Sacra Famiglia, più che un rito è un sentimento dell’anima dal quale non si può prescindere, anche se umile e senza alcuna pretesa artistica. Come ad esempio è il mio.
U Presepiu mio!
Dopu ‘a novina di l’Ammeculàta
Scindìvi u prosèpiu di la ndombiàta
Stipàtu a n’angulèju fora manu
Duvi dormìu pe’ n’annu sanu sanu.
St’annu u cacciatùri è senza fucìli
E a’ lavandàra no’havi cchjù u vacìli
Cu’ i panni chi portava sutt’ò vrazzu:
Ogn’annu si ndi perdi ngùnu pezzu!
È rutta ‘a testa di ‘na papareja
E ‘a massara i’ l’ova cu’ ‘a tafarèja
E, no’ su’ suli, atri màngunu all’appellu:
Comu i cristiani è pe’ pastorelli.
M‘a capannèja cu’ ‘a Sacra Famìgghja
e u Bambinèju chi nesci nda pàgghja
U ciùcciu, u vòi e i ciaramejàri
Du’ pecurèji e quattru pecuràri
Puru s’è umili, s’è fattu cu’ cori
Abbàsta ed’è graditu ò Redendori.
Ndombiàta = soffitta
Vòi = bue