Non arriva dal mare l’ultimo “bronzo di Reggio Calabria”. E’ nudo, sì, e nella foto che tanto fa discutere lo si vede sulla battigia, ma non affiora dalle acque, semmai ci va incontro. E’ un ragazzo, mica un guerriero con barba e braccio ad elmo come i suoi predecessori di Riace, e, anche se come le statue “A” e “B” è nato in un altro mondo, la sabbia di questo nostro mondo l’ha già toccata da un pezzo. E’ un “africano di Calabria”, quindi un nero e un meridionale, e la sua immagine mentre senza veli va verso il mare per farsi un bagno – vera o finta che sia – sta tenendo Reggio in angoscia: ovviamente, sui social non si parla d’altro e gli organi d’informazione si adeguano.

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La destra l’ha preso come modello anonimo del libertinaggio degli stranieri sfacciati; la sinistra ne difende la libertà di farsi un bagno nudista: categorie superate, certamente, ma altra sintesi in riva allo Stretto dei “Boia chi molla” sarebbe poco azzeccata.

Dunque, la città ha un terzo “bronzo" finito questa volta nel museo delle opinioni di massa, viscerali, da dove siamo certi che nessuno – governi, ministri, soprintendenti, colonnelli di qualche esercito politico – verrà questa volta a proporne delocalizzazioni, trasferimenti, restauri. Il “bronzo” che va verso il mare a Reggio rimane, a Reggio – chi lo vuole e chi non lo vuole – lo troveremo nei prossimi anni, esposto nel campionario delle solite mercanzie: la pagliuzza e la trave.

 

L’aeroporto stenta ?

Il “bronzo” immobile sulla spiaggia ci ricorderà che questa città – senza movimento - non ha chi la difenda.

Il porto metropolitano chiude ?

Il “bronzo” ci assalirà col peggiore dei sospetti: vuoi vedere che gli africani parlano l’inglese meglio di noi ?

La sua colpa - giovane, nudo, senza vergogna e sulla nostra spiaggia – è quella che nel mare dei miti si è fatto immortalare in un viaggio inverso: il “bronzo” sta sulla nostra terraferma, insicura, mica riemerge dal mare dei miti dove anche da Morgana ci facciamo ingannare.

 

Egli è sicuro uno di noi, bambino al gioco della ragion di Stato, ed è per questo che – da buoni reggini – lo massacriamo per l’invidia del suo tuffo libero, oppure lo vezzeggiamo come un qualsiasi “compare” che incontriamo sul Corso. Dovremmo andargli incontro, invece, spiegargli qualche altro tipo di gioco: la convivenza. Svezzarlo nelle nostre famiglie, nelle nostre scuole, mica nelle associazioni no profit che sembrano riserve indiane col timbro delle Prefetture e commercialista pronto.  

Invece diventerà museo con un ricordo da ammirare o rifiutare, scandalo, al termine di questa orgia di commenti social, di questo sfogo fra dirimpettai della stessa nostrana disperazione: neanche un rigo sulla stampa nazionale, non essendoci Vasco Rossi – o peggio la ‘ndrangheta – di mezzo. Un ricordo bruciato ai tempi dei social.


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E allora, che fare ?

Intanto, se museo deve essere, occorre dargli un nome, anche di fantasia e nel rispetto della sua probabile minore età. Strapparlo al destino a-nomico che nel museo nazionale è dei suoi predecessori. Chiamarlo Libero, oppure Otello, poco importa: ma trattenerlo al di là di questi giorni, come simbolo di una città scentrata finanche nei dibattiti. Specchio fedele, non dei perditempo di Face Book – non possiamo permetterci di sottovalutare questo spazio di democrazia – ma del nostro futuro: ci sarà sempre “un bronzo” in più su questa terra dolente, nudo, minore e non accompagnato; ci saremo sempre noi, a stare ben attenti alle “vergogne” degli altri.

Ci fu un tempo in cui sulla stessa spiaggia dove è stato pizzicato questo terzo “bronzo”, dei fotografi di un prestigioso giornale inglese piazzarono delle siringhe per poter dire: a Reggio c’è anche la droga, oltre alla mafia, il degrado, oltre alla lupara. 

Oggi, passati almeno due decenni, il dubbio della foto farlocca ci viene ugualmente, ma, oggi la città è matura: saprebbe dire, questa volta, che non è “colpa dei giornalisti” ma di se stessa?

 

Agostino Pantano