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Non sono mai stato tra gli estimatori del “Saviano pensiero”, ma la sua riflessione post-ettorale su Repubblica mi è sembrata illuminante: “Dismettete quindi quei sorrisi da sciacalli nell'intestarvi la vittoria, asciugate le lacrime di commozione dopo aver avuto mille giorni per dimostrare di poter veramente cambiare corso e non lo avete fatto. Ricomponetevi, Signori del no, rianimatevi Signori del sì, e capite che il no è per tutti voi. Per voi che promettete rottamazioni, che suggerite sfanculamenti e poi siete sempre lì, immobili.” Questo uno dei passaggi più significativi. A leggere bene le prime reazioni politiche, invece, vanno verso l’opposto al consiglio offerto da Saviano. Se il governo Renzi finisce male, la prospettiva, purtroppo, non sembra offrire niente di buono.
Tatticismo e immobilismo continuano a farla da padrone. Emblematica da questo punto di vista la nostra regione. Ernesto Magorno, per esempio, sembra la plastificazione di una politica senza visione e impegnata solo a preservare la propria carriera, il proprio orticello. Renzi si è intestato la sconfitta ma sarebbe disonesto politicamente e culturalmente pensare o immaginare che, tale disfatta, sia da mettere in conto solo a lui. La Campania e la Calabria sono state le regioni che hanno registrato la più grande disfatta dello stato maggiore del PD. Dalla sera del referendum, Oliverio tace, Magorno, invece, ha esternato la solita ipocrita litania sull’unità e sul rinnovamento, una barzelletta alla quale non crede più nessuno. L’ex sindaco di Diamante, profeta renziano della nostra regione si è rivelato un campione nello sfuggire alle proprie responsabilità. Non si è dimesso dopo le regionali, non si è dimesso dopo la sconfitta delle amministrative del 2015 e non si è dimesso dopo la sconfitta alle amministrative di quest’anno. Le sue dichiarazioni anche in occasione della disfatta referendaria, sono un concentrato di frasi sibilline tutte tese a parlare cifratamene agli stati maggiori del PD, i quali, a partire da Oliverio, hanno preferito in questi mesi tenerlo al suo posto: un segretario regionale debole, piuttosto che, un dirigente autonomo e capace di offrire una visione, soprattutto al grigiore amministrativo nel quale è precipitata la Giunta Regionale, è molto più rassicurante per l'uomo solo al comando.
Ci fa sorridere poi, qualche vecchio trombettista del giornalismo nostrano, allorquando definisce le nostre analisi o le nostre critiche al complesso dell’azione del governo regionale, contorsioni mediatiche. Siamo alle solite, coloro che fino a qualche tempo fa esibivano le lodi del renzismo nazional popolare e calabrese, ora pretendono di insegnarci, l’analisi post-elettorale a suon di "ve lo avevamo detto” e magari solo perché, con la loro barca a “Velino” sono naufragati sugli scogli della Presidenza del Consiglio sull’uscio di Luca Lotti. Stia sereno questo logoro trombettista mediatico, meglio le nostre “contorsioni” mediatiche che le solite "estorsioni” mediatiche travestite da falso “giornalismo libero.
La nostra è libera editoria basata sul pluralismo redazionale, una visione del giornalismo che, evidentemente, egli ha smarrito da anni. Lasci perdere “pitte ‘mpigliate” e “panettoni”, sono dolci che vanno saputi mangiare, diversamente, magari tentando qualche boccone maldestro, si rischia di rimanere strozzati. Ma torniamo alla politica. Le sibilline e ambigue dichiarazioni di Magorno rischiano di perpetuare nel PD calabrese il solito gioco ai riposizionamenti di convenienza, ai trasformismi di facciata e agli opportunismi di giornata. Facendo finta magari che la sconfitta sia caduta in testa ad altri. In una bellissima intervista Stephen Hawking aveva invitato le élite all’umiltà: “sarà necessario che le élite, da Londra a Harvard, da Cambridge a Hollywood, imparino le lezioni di quest’ultimo anno. Che imparino, soprattutto, una certa umiltà”. Un invito che Magorno e company dovrebbero farlo diventare un vademecum. E invece a noi sembra piuttosto che, Magorno e il gruppo dirigente calabrese del PD, piuttosto che far proprie le sagge riflessioni di Stephen Hawking, abbiano impresso nella loro testa la massima ne “Il tempo ritrovato” di Proust allorquando sostiene che “Le vecchie canaglie della politica, una volta ripescate, vengono sempre rielette”.
Infine un'ultima annotazione sulla condizione politica e sociale che ha lasciato il duro scontro referendario. Il grave solco maturato in questi decenni fra riformisti e conservatori ha subìto un ulteriore e profondo solco radicalizzando le fazioni. Al netto dei numerosissimi voti inconsapevoli o distorti da una campagna costruita sulle bufale, i tanti “No” in buona fede sono sinceri come i “Sì”, entrambi motivati da una diversa idea di bene comune; è su questo che occorrerà lavorare nei prossimi anni. C’è da augurarsi che la politica ritrovi umiltà, spirito di servizio, passione e che sappia ristabilire un nuovo e rinnovato patto con il popolo sovrano, oggi, completamente smarrito.
Un amico stamane mi ha suggerito la citazione dello scrittore Michel Kayoya “di chi sei il ministro del popolo o della tua ambizione?”. Una massima che calza a pennello con gli interrogativi sui quali dovrebbe misurarsi il ceto politico.
Pasquale Motta