La Consulta ha riammesso in Consiglio Regionale Wanda Ferro, la quale era stata esclusa in conseguenza di una nuova legge elettorale approvata dalla maggioranza di centro-destra nell’ultimo scorcio della legislatura precedente. Una soluzione giusta quella della Corte Costituzionale che sana una ferita inferta alla legittima rappresentanza democratica della nostra regione. Noi, mentre gli altri erano impegnati a presagire improbali scioglimenti del Consiglio Regionale, avevamo previsto  che questa sarebbe stata la decisione più plausibile da parte della  Consulta.

 

 

Oggi ci scuserete se non ci iscriviamo al corso del solito valzer dell’ipocrisia, pratica molto in voga nella nostra regione e tutta tesa ad eludere il nocciolo della questione, e cioè, pretendere un’operazione di verità, su tutta la  vicenda. Per una volta ci chiediamo se la stampa, la politica calabrese, intende dimostrare rispetto per quei calabresi che nel novembre del 2104 hanno espresso il loro voto per  Wanda Ferro e che sono stati scippati del loro sacrosanto diritto di rappresentanza. Ce lo chiediamo perché  stamattina a chiedere ciò, sulla stampa regionale, sono stati solo il nostro Riccardo Tripepi, il quale, ha stigmatizzato il silenzio assordante del centrodestra calabrese e il direttore di Zoomsud, Aldo Varano. Il resto degli opinion leader nostrani si sono misurati con le solite acrobazie politico-culturali sulla giustezza della sentenza, insomma fuffa.

 

Ricapitoliamo. La Consulta ha stabilito che il consiglio regionale dell’epoca non poteva legiferare in materia di legge elettorale perché in regime di prorogatio. Dunque, coloro che hanno predisposto quel testo hanno violato la legge arrecando un danno a Wanda Ferro, alla massima istituzione calabrese e alla sovranità popolare. Siccome in politica nulla è neutro, è evidentemente che,  deliberatamente, quella maggioranza ha compiuto un’azione illegittima, inserendo una norma ancora più illegittima che impediva l’elezione del leader dell’opposizione (nel testo si evidenziava che la vecchia norma veniva cancellata a penna). Sulla responsabilità politica del centro-destra dell’epoca, dunque, non vi è mai stato alcun dubbio. Di quella maggioranza, nel consiglio regionale attuale sono sopravvissuti solo Tallini, Gentile, Orsomarso, Salerno e Morrone, dai quali oggi ci saremmo aspettati una manifestazione di scuse. Purtroppo abbiamo atteso invano.  Mistero, invece, sugli autori di quel testo che fu poi approvato.  Il paradosso è che, in questi mesi, invece di far luce sui responsabili della trappola istituzionale ai danni di Wanda Ferro, i quali chiaramente confezionarono un vero e proprio atto criminogeno a fini interni, sulla stampa e nelle sedi politiche, si è preferito discutere sulla possibilità o meno dello scioglimento del consiglio regionale. Come dire: “dove vai? Porto pesci.” Risultato? Ad oggi non si comprende chi abbia materialmente redatto e presentato il testo di legge che ha prodotto questa situazione. Il capogruppo del PD di allora, Sandro Principe, affermò, senza essere smentito, che quel testo non passò mai dalla commissione Affari istituzionali del Consiglio, ergo, fu presentata direttamente in aula.

 

La vicenda, a questo punto, chiama in causa il Presidente del Consiglio regionale dell’epoca, Franco Talarico e tutto l’ufficio di Presidenza, i quali avrebbero il dovere di informare i calabresi su chi predispose il testo di legge e lo presentò materialmente all’ufficio di presidenza per essere inserito all’ordine del giorno. Aspetteremo che qualcuno ci illumini, dunque, sul nuovo arcano della politica calabrese e ci consegni la verità, altrimenti, dovremmo seriamente pensare che dopo duemila anni dal mistero del concepimento di Nostro Signore, un nuovo mistero del genere si sia verificato con il concepimento della legge elettorale che per due anni ha fatto fuori la Ferro.

 

Pasquale Motta