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Il secondo turno elettorale di Catanzaro è finito secondo le previsioni. Previsioni sussurrate per strada, nei bar, nei negozi. Arrivate a chi come noi fa il cronista, arrivate alle casalinghe, agli insegnanti, ai pensionati. Previsioni che già si percepivano durante la fase delle candidature. Gli unici a essere completamente sordi a tutto ciò, gli strateghi del PD guidati da Ernesto Magorno. Si potrebbe dire non senza un minimo di ironia che, “dove mette le mani Magorno, il PD toglie di torno”.
Magorno ha messo in atto un capolavoro di idiozia politica fin dall’inizio; liquidando semplicisticamente l’ipotesi di un sostegno a Nicola Fiorita e successivamente liquidando l’accordo con l’area del senatore Piero Aiello.
Il paradosso è che tutto ciò, non è avvenuto per mettere in campo una innovativa impostazione politica ma per impiantare una macroscopica operazione di trasformismo politico. Le liste che sostenevano Enzo Ciconte erano forti, ma erano l’espressione di un trasformismo spregiudicato, mezza maggioranza di centrodestra si era spostata con il candidato del PD, una scelta che, alla fine, si è rivelata nefasta proprio per il candidato del centrosinistra. La stessa candidatura di Enzo Ciconte fin da subito è stata percepita come inadeguata a intercettare un sentimento di cambiamento che proveniva dall’anima più profonda della società catanzarese. La città di Catanzaro aveva voglia di cambiare e lo ha dimostrato con il risultato consegnato a Nicola Fiorita.
Il Pd, invece, ha preferito percorrere un’altra strada, ha preferito puntare su di un dirigente consunto e consumato, espressione delle vecchie logiche clientelari tardo democristiane. Ciconte alla fine è stato asfaltato da Abramo, ma già al primo turno era arrivato per un soffio al ballottaggio. Una contestazione netta e proprio alla sua candidatura. Seimila voti in meno rispetto alle liste che lo sostenevano. Un massiccio e inequivocabile voto disgiunto. Intendiamoci, Enzo Ciconte ci ha messo del suo. E’ apparso nervoso, a tratti arrogante, distante da quel PD che lo aveva accettato con forti mal di pancia e commettendo poi, l’errore tragico di disinteressarsi completamente della lista PD, suscitando rancore e stupore, la lista, infatti, è stata difesa soltanto da pochi militanti. Risultato? Anche il Pd, alla fine, è stato asfaltato. E il centro destra, è apparso molto più nuovo e in discontinuità con il passato rispetto alla coalizione di Ciconte, grazie anche a una ripulitura radicale delle proprie liste, le quali hanno portato in consiglio comunale 14 persone alla loro prima elezione e 7 donne. Un centro destra rinnovato e rinvigorito, alla fine ha fatto man bassa.
La sconfitta di Ciconte, dunque, non è stata una sorpresa. Non è stato un fulmine a ciel sereno. Quello di Catanzaro è un segnale chiaro, l’elettorato, la base del centrosinistra, è stanca di notabili e notabilati, è stanca di ingegnerie tattiche, è stanca di gruppi dirigenti regionali pronti a imbarcare la qualunque, a legittimare il trasformismo più becero, pur di sperimentare accordi che servono ad altro. Perseguire la strada della somma del vecchio ceto politico, come è avvenuto a Catanzaro, per vincere a tutti i costi, si è rivelata un fallimento elettorale e politico di proporzioni gigantesche e tragiche. È l’ennesima sconfitta di un partito incapace di apparire credibile; incapace di essere percepito comunità. È la debacle di un gruppo dirigente alle prese con le proprie alchimie tattiche, impegnato a coltivare i propri orticelli, tutto ripiegato nella logica delle future collocazioni personali. È la sconfitta di un di un segretario regionale inconcludente ma, è anche la sconfitta del Presidente e di una Giunta regionale impantanata nell’immobilismo più totale.
L’ultima gioia del Pd calabrese in termini di successi elettorali, è stata a novembre del 2014. Dopo quella data, per il PD, solo sconfitte, tutte di pesante significato politico : Lamezia Terme, Vibo Valentia, Cosenza, Crotone e Catanzaro, alle quali si aggiunge, il disastro del referendum costituzionale di dicembre. E ora cosa succederà? Come avevamo già detto dopo il Referendum, anche stavolta, non succederà niente. Tutti zitti. Tutti muti. Al massimo frasi di circostanza e l’annuncio di future quanto improbabili riflessioni autocritiche. C’è chi, come il segretario di Cosenza Luigi Guglielmelli, preferisce esaltare alcuni buone performance nel territorio della sua provincia, evitando rigorosamente di scendere sul terreno di una seria analisi politica ed elettorale. Il "Tutto va ben, madama la marchesa", è il mantra del gruppo dirigente del PD calabrese. “Tutto va ben madama la marchesa” trae le sue origini da una vecchia canzone francese che narra di un servitore che cerca di rassicurare una marchesa al telefono, mentre le comunica che il suo palazzo è andato a fuoco in seguito al suicidio del marito. Un po' come fa Magorno all’indomani di ogni disastro elettorale.
Sono in molti a chiedersi, da tempo, il motivo sul perché un segretario regionale che avrebbe dovuto essere cacciato subito dopo le regionali, alle amministrative del 2015, al Referendum del 2016 e che andrebbe cacciato ora, invece, continua a rimanere al suo posto. Sul punto dunque, ci sono pesanti responsabilità di tutto il notabilato Pd, da Oliverio ad Adamo, da Romeo a Irto e a tutti i maggiorenti del partito di Renzi.
Tutti evidentemente, preferiscono fare finta di nulla, tutti preferiscono un segretario regionale debole, ricattabile, condizionabile, piuttosto che, un nuovo segretario regionale autonomo che prenda in mano la partita politica con vigore e incisività. Ai capi bastone conviene così. Solo così possono imporre indisturbati le proprie linee, tutelare le proprie mire personali, curare i propri orticelli. Si preferisce andare avanti così, in attesa di una nuova tappa, in attesa di un nuovo tassello di potere, preferendo camminare a carponi sulle macerie, senza un progetto politico generale, ma solo con una miriade di miserabili obiettivi personali.
Stanno lì, come i musicisti del Titanic, intenti a suonare la propria musica mentre il transatlantico colava rapidamente a picco, una sola differenza, mentre la musica dei suonatori del Titanic era perfettamente intonata, quella dei suonatori del PD è radicalmente scordata, al punto che, ormai, non si può più sentire. E mentre la nave del PD calabrese cola lentamente a picco con tutto il suo equipaggio, l’inquilino del decimo piano della cittadella preferisce osservare e non agire, la nave affonda sotto i suoi occhi senza che lui batta ciglio, anzi, proseguendo per la propria strada come se niente fosse. In portineria però, dopo il ballottaggio di domenica, sono stati recapitati i primi avvisi di sfratto a firma dei fratelli Occhiuto e di Mimmo Tallini, nessuno avrebbe immaginato che, tutto ciò, sarebbe accaduto a meno di 1000 giorni dal suo insediamento.
Pasquale Motta