VIDEO | Il 25enne di Paola oggi può riprendere in mano la sua vita. Ma le gravi accuse che gli erano state mosse dalla magistratura sono una ferita che rimarrà aperta a lungo. Per la prima volta si racconta dopo l'assoluzione (ASCOLTA L'AUDIO)
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Sottrarsi alla vita per mettere fine a un incubo, a un dolore più profondo di quello provocato dalla malattia. Cristian Filippo, 25enne di Paola affetto da fibromialgia, lo ha pensato molte volte negli ultimi tre anni e mezzo, mentre si trovava imputato per coltivazione di stupefacenti ai fini di spaccio; lo ha pensato tutte le volte che in strada gli sguardi sospettosi della gente lo hanno spogliato della sua dignità.
Ora che la sua innocenza è stata certificata da una sentenza del tribunale, Cristian trova finalmente il coraggio di parlare dei suoi pensieri più reconditi, di come sia difficile sopportare un'accusa che non ti appartiene. «A un certo punto - confessa a LaC News24 -, ho pensato che facendola finita avrei risolto tutti i miei problemi». Lo ha salvato l'affetto dei suoi genitori, del suo medico e di tutte le persone, tantissime, che sin da subito gli hanno creduto e si sono fidate di lui. Cristian non ha nulla a che fare con la droga e con la piazze di spaccio.
La piantina di canapa che i carabinieri hanno trovato a casa sua durante una perquisizione, nel luglio del 2019, era per uso strettamente personale, coltivata al solo scopo di lenire i dolori della sua malattia, resistente ai farmaci convenzionali. Assumere marijuana era l'unico modo per trovare un po' di sollievo. Nonostante la patologia conclamata, in Calabria Cristian non è mai riuscito ad accedere alle terapie a base di cannabis terapeutica, garantite da una legge del 1997.
Il fatto non sussiste
Cristian è innocente. Lo ha stabilito una sentenza del tribunale di Paola che lo ha assolto con formula piena, «il fatto non sussiste», dopo che la stessa procura che lo aveva indagato, aveva chiesto l'assoluzione. Subito dopo la lettura della sentenza, il giovane ha stretto a sé la sua mamma, sancendo la fine di un incubo durato oltre tre anni. «Il tribunale ha capito che l'ho fatto per sopperire a una mancanza. Oltretutto - ha specificato - mi è stato riconosciuto il fatto che io mi sia procurato la sostanza da solo, senza incentivare il mercato nero della droga o gli affari della 'ndrangheta». Nel piazzale del palazzo di giustizia di Rione Giacontesi, a Paola, Cristian non era solo. Accanto a lui c'erano gli attivisti dell'associazione "Meglio Legale", che gli hanno fornito anche un avvocato per la difesa, e dell'associazione "Luca Coscioni". La vicenda divenne nota più di un anno fa, quando lo scrittore Roberto Saviano la raccontò per primo sulle colonne del Corriere della Sera. Da quel momento il giovane paolano è stato letteralmente travolto da una marea di solidarietà e vicinanza, che ha trasformato la sua storia in un vero e proprio caso mediatico.
La vicenda
Nel luglio del 2019, su segnalazione, i carabinieri della Compagnia di Paola si presentano al suo domicilio ed effettuano una perquisizione. Trovano una piantina di canapa e un bilancino di precisione. Cristian prova a spiegare, mostra la sua cartella clinica ai militari e la ricetta bianca del medico con la richiesta di importazione del farmaco cannabinoide, che le farmacie della provincia di Cosenza continuano a negarli. I militari sono irremovibili. Tra arresti domiciliari e obbligo di presentazione all'autorità giudiziaria, Cristian sconta quattro mesi di misure cautelari, poi finisce a processo.
Dal buio alla rinascita
Intanto la sua vita sembra sgretolarsi. I dolori diffusi in tutto il corpo non gli danno tregua, a volte passa le giornate a letto, altre volte finisce addirittura al pronto soccorso. Cristian, nel fiore dei suoi anni, deve rinunciare ai suoi hobby e persino a cercare un lavoro, il tutto mentre il sistema sanitario continua a negargli le cure senza neppure una ragione plausibile e la giustizia lo chiama a difendersi da accuse pensatissime. Andare avanti si fa ogni giorno più difficile. Cristian ha pensieri strani, in fondo al tunnel la luce è spenta.
Un giorno, finalmente, trova la forza di reagire, decide di chiedere aiuto e denunciare, vuole che tutti sappiano quello che sta passando. È in quel momento, probabilmente, che comincia la sua rinascita. Da spacciatore e criminale, come vorrebbero far credere le accuse, nel giro di poco tempo Cristian si trasforma in un guerriero, in un "disobbediente" civile. La sua storia assomiglia a una favola moderna, una di quelle che ha il lieto fine ma lascia cicatrici e ferite sempre aperte, che grazie a caparbietà e determinazione riesce a cambiare sorti già scritte. La sua è una battaglia di civiltà in piena regola che porta alla luce una falla nel sistema sanitario che lascia senza cure centinaia di pazienti, evidenzia il paradosso della giustizia («se avessi acquistato marijuana da una spacciatore probabilmente non sarei finito a processo»), e sottolinea gli effetti benefici della cannabis terapeutica, che ancora oggi in Italia rappresentano un tabu e sono al centro di un aspro dibattito politico. Ma, soprattutto, la vicenda di questo giovane ci dice, una volta di più, che la giustizia - come recita una famosa canzone - non è soltanto un'illusione. Anche in Calabria. E di questi tempi non è poi un fatto così scontato.