Manca un piano regolatore aggiornato, l’Autorità portuale avverte lo scalo come un fastidio e i rapporti con il sindaco Stasi sono ai minimi termini. La struttura non decolla mentre la politica resta immobile
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Quello de Il Sole 24 ore, edizione di questa mattina, è un po’ come un dito nella piaga. Il quotidiano degli industriali italiani, dedica l’apertura di pagina 18 al porto di Corigliano Rossano.
Una infrastruttura che avrebbe sprecato, dal 1967 ad oggi, 50 milioni, perché, di fatto, «oggi lo scalo di Corigliano Calabro – si legge nell’articolo – con fondali di dodici metri, cinque banchine operative, piazzali molto grandi, è utilizzato al minimo: una quarantina di pescherecci di dimensioni medio-piccole popolano una delle due darsene e i piazzali sono utilizzati per un’attività di riciclo e commercializzazione di ferraglia».
Giusto. A parte qualche luogo comune, ciò che emerge è che comunque quell’infrastruttura, sin dal suo “varo” non ha prodotto quel surplus auspicato allo sviluppo del territorio. Ed in questo solco il Sole rispolvera la vicenda Baker Hughes, con un investimento da 60 milioni di euro, definita come la punta di un iceberg «posato lì, sulla costa jonica della Calabria, inerme e inutile o quasi».
Una vicenda, è ricordato, che chiama in causa non solo la classe dirigente calabrese per l’occasione persa recentemente, ma per «tutto ciò che poteva essere e non è stato fatto per questo porto, che aspetta un nuovo piano regolatore (dal 1981, ndr), nato con l’obiettivo di dare a questo pezzo di Mezzogiorno una prospettiva di sviluppo che allora si immaginava sul fronte pertrolchimico».
Un progetto, quindi, che in 58 anni di storia ha prodotto – per il quotidiano – solo spesa «e nulla più».
Un gigante che sta collassando tra l’ignavia della politica
Come dargli torto. Oggi la fotografia dello scalo è quella. Una quarantina di pescherecci – e basti pensare che solo dieci/quindici anni fa erano circa 120 poi corrosi dalla crisi, dal caro gasolio e, tra l’altro, dal divieto della pesca alla sardellina, l’oro bianco di questo territorio, scaraventato qui da burocrati di Bruxelles che di “piccola” pesca che si esercita da qualche secolo non sanno nulla – un’attività che si occupa di «ferraglia» e nient’altro. Oltre centomila metri quadri di superficie, «immobili, inermi» e – aggiungiamo noi – dal 1967 e per chissà quanti anni ancora.
Il porto di Corigliano dovrebbe – o sarebbe potuto essere – un portale sul Mediterraneo che guarda ad Oriente, ad un “tiro di schioppo” dal Canale di Suez ed invece è, o sta collassando tra l’ignavia della politica tutta. Peraltro, senza un piano regolatore adeguato ai giorni nostri, argomento-grimaldello utilizzato dal sindaco di Corigliano Rossano, Flavio Stasi – a torto o ragione – per “parlare a nuora perché suocera intenda”, sull’asse Baker Hughes/Autorità portuale di Gioia Tauro, ente che da una distanza di 400 miglia nautiche gestisce/avverte lo scalo coriglianese – da sempre e non solo da quando è arrivato Agostinelli, peraltro prossimo ai saluti – come se fosse un fastidio e un problema. Anche per questo nei mesi scorsi il coordinatore regionale dei Verdi/Avs, Giuseppe Campana, ha provocatoriamente proposto di traslocare nell’Autorità portuale di Taranto, naturalmente – appena una cinquantina di miglia nautiche – più vicina a Corigliano.
Lo scalo avrebbe, peraltro, potuto svoltare anche con le “autostrade del mare”, trasferimenti su traghetto tra Corigliano e Catania: un tentativo dell’allora – siamo nel 2009 – ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli con l’obiettivo di alleggerire dal traffico su gomma l’autostrada A3, in quegli anni in fase di rifacimento. L’esperimento, però, dura solo un anno.
Basterebbe pensare, giusto per far meglio comprendere in che stato si trova il porto, che “luce” e acqua sono arrivate solo qualche anno fa, mentre progetti quali la banchina croceristica giacciono nei cassetti a Gioia Tauro, nell’ambito del Piano operativo triennale dal 2020, con una dotazione di una decina di milioni per realizzarla, ma ferma al palo perché oggi, a distanza di cinque anni, ne servirebbero 22. Sempre in quel documento, l’autorità portuale immagina di realizzare anche il terminal crociere, peraltro anche quelle avversate ai tempi dal solito comitato del no come per la fusione, Baker Hughes, e tra poco anche per il parco eolico offshore che prevede un marginale utilizzo dello scalo per l’assemblaggio delle pale, come ampiamente anticipato a novembre scorso. Investimento, secondo le stime, da 1,6 miliardi di euro e – sempre secondo i proponenti al Ministero dell’Ambiente – il progetto è in fase di valutazione di impatto ambientale – 1300 posti di lavoro.
Il cambio ai vertici dell’Autorità portuale, per cui il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti ha avviato una manifestazione di interesse, potrebbe cambiare visione, carte in tavola e rapporti con il sindaco Stasi – mai troppo in sintonia con Agostinelli in questi anni – ma anche no.
Ecco perché serve assolutamente un nuovo piano regolatore portuale che definisca indirizzi, cosa fare nello scalo portuale e come farlo. Industria, pesca, turismo attraverso il crocerismo, il diportismo e gli sport acquatici? L’importante è che si faccia per evitare una nuova Baker Hughes.
Il porto di Corigliano giace, insomma, come un Gulliver sovrastato da lillipuziani.