La processione di Catanzaro richiama plasticamente la sintesi delle realtà ecclesiali operanti sul territorio e sotto una prospettiva sociale ricorda chi siamo, la nostra appartenenza
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La Naca oggi “esce” dalla Basilica dell’Immacolata. Mi piace richiamare quest’aspetto perché, da un punto di vista teologico, la circostanza invita a guardare la croce di Gesù con lo sguardo di Maria, una madre che vive il dolore – un dolore insopportabile, indicibile, quello per la morte violenta di un figlio – nella attesa, nella speranza, della resurrezione. È un dolore pienamente umano, che oggi dice qualcosa anche sui nostri dolori, individuali e collettivi. Invita alla speranza, a non lasciarsi prevaricare dalla rassegnazione e dalla paura, a guardare con fiducia al presente e al futuro.
La croce di Gesù interroga ciascuna e ciascuno di noi. Ma bisogna essere chiari: non è questo il centro della fede cristiana. Il cuore della fede cristiana non è il Venerdì santo. Nei secoli, alle nostre latitudini, la gente si è immedesimata più con la morte di Gesù che con la sua resurrezione. I riti popolari tengono in grande considerazione il giorno in cui si fa memoria della morte di Gesù, probabilmente per un processo di immedesimazione con le difficoltà, le ingiustizie, le sofferenze che si patiscono quotidianamente. Ancora oggi è così. Ma bisogna fare il salto: il cuore della fede cristiana è la Domenica di Resurrezione. La nostra fede trova il suo senso nella speranza della Resurrezione.
La processione della Naca richiama plasticamente la sintesi della realtà ecclesiali operanti sul territorio. È innanzitutto un’immagine di Chiesa. Sotto una prospettiva religiosa, il camminare insieme con la “culla” in cui è deposto il corpo di Gesù morto ha a che fare con una forte dimensione penitenziale: le persone chiedono perdono a Dio per i peccati e si impegnano in un cammino di conversione e di rinascita spirituale. Sotto una prospettiva sociale, ricorda chi siamo, la nostra identità, la nostra appartenenza. È una espressione del patrimonio culturale immateriale di rilevanza religiosa, da tutelare e valorizzare in maniera opportuna, anche per sue implicazioni turistiche. Queste due prospettive sono parallele, e non devono pensarsi come tra di loro non conciliabili.
*professore associato di Diritto e religione e di Diritto canonico, dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Pisa