Dalle cover di Anna Tatangelo agli ospedali, il diploma al Conservatorio lasciato nel cassetto per dedicarsi a chi non è autosufficiente e diventare un operatore socio sanitario
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«Ho soltanto la mia età. E fino a ieri mi teneva compagnia. E a volte sogno di toccare in faccia il sole. Mi sveglio piano e poi lascio fare e quello che sarà, sarà…». Cantava nelle piazze le cover di Anna Tatangelo, agognava il successo e per questo aveva studiato. Diplomata in pianoforte e canto.
La sua – però – non è la storia di un sogno sfumato, ma di uno inseguito e, in parte, già realizzato. Francesca Carchidi ha trentraquattro anni, è sposata e vive a Monterosso, nell’entroterra vibonese. Non fa più la musicista, perché ha scelto la vita dell’operatrice socio-sanitaria, assecondando un’aspirazione che aveva sin da bambina. E così, Francesca, diventa testimone autentica del significato di un acronimo, quello di «Oss», che rappresenta un mondo ai più sconosciuto, o conosciuto solo in apparenza, in superficie.
«Avevo quattordici anni – racconta – ed in paese c’erano diverse persone anziane e sole. Mi recavo da loro per aiutarle a fare piccole cose di casa, la spesa o semplicemente per scambiare qualche parola. Col tempo hanno iniziato a regalarmi qualcosa, ma non era per questo che lo facevo. Rendermi utile, aiutare chi aveva bisogno, mi dava una profonda gratificazione».
Insomma, un volontariato pressoché quotidiano, che viaggiava di pari passo allo studio, alla passione per il canto ed il piano, al sogno di diventare come Anna Tatangelo, una ragazza di periferia capace di conquistare lo star system.
La svolta della sua vita arriva nel 2008, quando il Comune di Monterosso attiva un progetto per l’assistenza domiciliare alle persone non autosufficienti. Poco più che ventenne, Francesca entra nella vita di due persone che saranno sempre speciali: una madre ed una figlia, entrambe affette da gravissime patologie degenerative. «Non è durato molto quel progetto – spiega – ma anche quando si è concluso, io ho continuato a lavorare per questa famiglia. Ci lavoro ancora adesso, dopo tredici anni. La mamma ora purtroppo non c’è più ed ha lasciato un grande vuoto. È rimasta la figlia, alla quale mi dedico più e meglio che posso. Non è volontariato, ormai, per me, ma è lavoro. E lo svolgo con la stessa passione che anima un volontario».
Dal 2018, Francesca si impegna affinché possa completare la sua formazione e possa essere formalmente riconosciuta con una qualifica ciò che, di fatto, fa sin da quando era un’adolescente. Ha così iniziato il corso da operatore socio-sanitario con l’associazione San Giuseppe Moscati di Vibo Valentia. «Mi sono trovata benissimo – racconta – ho imparato tante, tantissime cose. La più importante è che questo è un lavoro delicato, importante, che non è per tutti. È un lavoro che puoi fare davvero se e solo se ti senti pronto a dedicarti completamente agli altri, altrimenti, se pensi possa essere un impiego come un altro, beh, vuol dire che hai sbagliato strada».
Il corso prevede una parte teorica e una pratica. La pratica la vedrà impiegata per 200 ore in Utic e Cardiologia allo Jazzolino, poi altre 100 ore in Pediatria, 150 in Psichiatria, infine 100 di esercitazioni pratiche. «Ripeto – dice Francesca – questo percorso non si fa per avere un pezzo di carta, ma perché devi avere una vocazione». E allora, Francesca inizia con lo sfatare i luoghi comuni: «Non si è dei veri e propri infermieri, ma se non lo sei è con la professionalità di un infermiere che devi operare e a quelle competenze devi fare il possibile per avvicinarti. Ma un Oss non è neppure un badante, attenzione…».
L’Oss, così, deve occuparsi dei bisogni primari del paziente e non solo: «Arrivi e sai che devi rifare il letto, sai che devi saper prenderti cura dell’igiene della persona. Questo, però, è solo un aspetto infinitesimale di questo lavoro, che si regge invece sull’empatia con il paziente. Sai che hai davanti una persona che non può prendersi cura di se stessa e della sua salute e, con il tuo lavoro e la tua presenza, la completi».
Francesca non sa dove il futuro la condurrà, ma se potesse scegliere – lei convinta che «il futuro è quello che ci costruiamo da soli» - vorrebbe poter continuare a prendersi cura di anziani e disabili: «Potrei finire in una scuola, stare in una struttura per tossicodipendenti, in una casa famiglia, ma io preferisco le persone anziane e quelle portatrici di disabilità. Perché sapere che fai qualcosa di importante per chi non può farcela da solo mi trasmette una gratificazione emotiva immensa. E quando in tv vedo dei maltrattamenti nelle Rsa o nelle case famiglia, giuro, sto davvero male».
Così, la ragazza che cantava nelle piazze e sognava il palco dell’Ariston, oggi lancia un invito ai tanti giovani che ancora aspettano il destino: «Dico loro di guardarsi dentro e di trovare la propria strada. E scegliete di prendervi cura degli altri, vorrà dire che avrete intrapreso la mia».