Interventi attesi da decenni spesso vengono spacciati come cosa fatta. Invece la figuraccia è dietro l’angolo. Ma nonostante ciò molti amministratori pubblici non rinunciano all’azzardo per un pugno di like (sperando nei voti). I casi del teatro vibonese e del tapis roulant dello Stretto
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I nastri tricolore da tagliare in pompa magna alle inaugurazioni sono quasi spariti. Ma non è sparita né la pompa né la magna, per quelle che sempre più frequentemente sono le “quasi inaugurazioni”. Momenti topici della politica moderna che deve fare i conti con poche risorse, pochi elettori e i tempi biblici di una pubblica amministrazione che continua ad avere gli ingranaggi pieni di sabbia. In più, ci si mette anche il web, che cristallizza ogni passo falso e lo tramanda ai posteri.
Dunque, a patto di non essere pronti a metterci la mano sul fuoco, è meglio evitare di presentarsi armati di forbici davanti all’agognato nastro del pronti-partenza-via, perché è sicuro che l’immagine dell’inaugurazione tornerà a tormentare per chissà quanto il tagliatore incauto.
Epperò, il desiderio di rivendicare a fini elettorali il varo di una nuova (o già vecchissima) opera, è troppo forte per essere inibito con il buonsenso. Così, ecco le “quasi inaugurazioni”.
Due gli ultimi casi più eclatanti registrati in Calabria. Il primo riguarda il teatro di Vibo Valentia, che dopo un’attesa di 25 anni (venticinque!) è “finalmente” pronto. Anzi no. Manca il via libera dei vigili del fuoco e il collaudo di un ascensore senza il quale risultano inagibili i piani superiori. Ora, chi sa qualcosa di teatro sa anche che in questo settore i pompieri sono una sorta divinità i cui precetti vanno rispettati come se fossero incisi su tavole di pietra. Senza vigili del fuoco semplicemente non si va in scena, fosse anche solo per una conferenza stampa. La sindaca Maria Limardo, invece, ha pensato bene di “presentare” (non inaugurare, ovvio) il teatro ai giornalisti, per raccogliere le messi finalmente mature di semi gettati addirittura quando Walter Veltroni era ministro della Cultura e il ‘900 ancora doveva finire.
Nessun nastro da recidere, ma facce felici, enfasi di circostanza («una giornata storica per Vibo») e gote rosse d’emozione che facevano pendant con il velluto rosso delle 500 poltrone ancora incellofanate come il divano di Fantozzi. In realtà, ancora non si sa quando il teatro aprirà, forse molto presto. Ma non è questo il punto. Il punto è che dopo 30 anni di attesa non c’era più alcun bisogno di correre ad allestire la “quasi-inaugurazione”. Meglio sarebbe stato consegnare alla città il teatro quando davvero potrà fare quello per cui è stato costruito, che di certo non sono le conferenze stampa.
L’altro eterno inaugurando è il tapis roulant di Reggio Calabria, che collega il lungomare alla zona collinare. Fu Giuseppe Scopelliti, allora sindaco della città, a tagliare il nastro nel 2009. Erano altri tempi e le forbici si usavano più a cuor leggero. Ma già all’epoca la parola più usata nei commenti fu: «Finalmente». E mai termine fu più inappropriato. Da allora, infatti, è stato un continuo accendi e spegni, chiudi e apri. Insomma, più che un tapis roulant, uno yo-yo, tra continui stop e riaperture che hanno esasperato per un decennio i cittadini, senza contare il degrado che spesso ha preso il sopravvento dell’immobile tappeto mobile. Poi, mercoledì scorso, l’ennesimo “finalmente”. A pronunciarlo è stato il sindaco Giuseppe Falcomatà: «Oggi, finalmente - ha detto -, tutti i tappeti, sia in salita che in discesa, sono perfettamente funzionanti, grazie al completamento dei lavori di manutenzione». Grazie al piffero, visto che il giorno dopo il tappeto rotolante, come lo chiamerebbe Fabio Rampelli di Fdi, era di nuovo fermo.
Ha avuto buon gioco l’opposizione consiliare che ha sbertucciato il sindaco: «Dopo un giorno dall’annuncio in pompa magna del sindaco Falcomatà della riapertura al pubblico e la rimessa in funzione del tapis roulant, questa è la situazione che si presenta alla città: cancelli di nuovo sbarrati, tapis roulant fermo e cittadini delusi. Vergognoso». Anche in questo caso, che bisogno c’era di strombazzare una quasi-apertura, soprattutto dopo intere generazioni che sono cresciute nell’attesa? Meglio sarebbe stato, come anche a Vibo, evitare figuracce e affidarsi a una sobria inaugurazione quando c’era la certezza che le cose erano andate in porto. Ma soprattutto sostituendo quell’insopportabile “finalmente” con un più umile e rammaricato “scusate il ritardo”.