Sono tantissimi i minori che ogni anno si ricongiungevano ai genitori italiani che li avevano in affido temporaneo. Poi il Covid ha fermato tutto. Ora i corridoi umanitari allestiti per il conflitto potrebbero consentire anche il loro passaggio
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I “bambini di Chernobyl” sono minori che da più di 30 anni vengono ospitati da famiglie italiane (ma non solo) per soggiorni terapeutici e di risanamento. Gli effetti dell’esplosione del 1996 hanno tuttora impatto sulla salute di chi abita quei territori – pur essendovi nati decenni dopo il disastro - e tantissimi sono i “figli a distanza” che ogni anno, nei mesi estivi e durante le vacanze di Natale, si ricongiungono ai genitori italiani lasciando gli internati sparsi tra Ucraina e Bielorussia. Infiniti.
Prima il Covid, adesso la guerra
La situazione già drammatica è peggiorata negli ultimi due anni: prima la controversa rielezione di Lukashenko non riconosciuta dai Parlamenti europei ha ostacolato i protocolli di adozione, poi i lockdown hanno interrotto i corridoi di accoglienza. Fatto sta che i bambini non tornano in Italia da gennaio 2020 e famiglie e associazioni, che vedevano nella fine dello stato di emergenza del 31 marzo la luce in fondo al tunnel, temono adesso ulteriori blocchi per la guerra.
L'attesa della cittadinanza italiana
Ha 10 anni Arsenji e da due non riabbraccia i genitori cosentini. Che poi sono gli unici che ha. Il suo nome è nella lista 2020 di 184 bambini che attendono di diventare italiani, lista che giace in un cassetto di Minsk nella speranza che la situazione si “scongeli” e questi mini pendolari trovino finalmente stabilità: «Le adozioni sono bloccate perché Roma si rifiuta di firmare una lettera indirizzata ad un presidente che per loro non esiste». La madre si riferisce a Lukashenko che governa la Bierlorussia dal 1994 e al quale il referendum costituzionale di due giorni fa ha conferito più poteri. E anche più armi: Minsk potrà essere succursale nucleare di Mosca. Ma questa è un’altra storia (o forse no).
Le videochiamate con l'Italia
L’esistenza dei malenki è cristallizzata dallo scoppio della pandemia che oggi sembra un argomento d’esame di storia archiviato, sebbene il capitolo in corso somigli più al Novecento che ad un’epoca nuova. Di ultima generazione ci sono solo gli smartphone da cui informazione e disinformazione combattono una guerra parallela e i cui monitori sono casa per i bambini la cui vita è sospesa. Arsenji vive a sud della Bielorussia al confine tra Polonia e Ucraina e tutto ciò che possiede è ora formato pixel: giocattoli, tv, mamma, papà. Spia quella che avrebbe dovuto essere la sua vita nel corso di ogni videochiamata con l’Italia durante la quale puntualmente pretende un giro virtuale in ogni stanza per assicurarsi che nulla sia mutato e ogni cosa sia ancora al suo posto: «Vuole accertarsi che sia tutto come ha lasciato». Il metaverso prima di metaverso se non fosse che è vita vera. Verissima.
Vietato nominare la guerra
I contatti con casa avvengono tre volte a settimana, non di più per non approfittare della gentilezza di una tutrice che mette a disposizione il proprio cellulare. Durante le chiamante la guerra non si nomina, Arsenji è troppo piccolo e parla un italiano incerto per lasciar capire se e cosa abbia inteso. Inoltre ai genitori è stato sconsigliato di far menzione del conflitto per non mettere in difficoltà gli insegnanti: «Potrebbero essere controllati». Si cerca di capire se tutti stiano bene attraverso domande generiche e poi s’interpretano le risposte. La quotidianità, tuttavia, sembra scorrere normale in istituto.
La novità è che tra Italia e Ucraina si è appena aperto un canale umanitario per i piccoli profughi di guerra e la speranza di famiglie e associazioni è di inserirvi anche i bimbi bielorussi che del resto stanno al confine.
Le richieste
Nelle ultime ore gli appelli indirizzati al Ministero degli Affari Esteri, al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, al Ministero della Salute o alla Caritas si moltiplicano. Puer, Avib, Gabb Onlus, Arca Il Sogno dei Bambini chiedono che venga comunicata «l’immediata ed ufficiale riapertura unilaterale delle accoglienze per i minori che partecipavano ai programmi solidaristici allo scopo di consentire alle associazioni di lavorare fin da subito a progetti in loro sostegno da realizzare quanto prima». Per offrire supporto ai bambini anche non orfani.
Le incertezze
Il timore dei genitori è che la richiesta si incagli nella rete del Ministero delle Politiche sociali: «I problemi grossi in Italia li abbiamo sempre avuti loro che sono quelli che si occupano dell’invio dei progetti, mentre il Ministero della Salute ci è sempre stato vicino cercando di trovate un protocollo ad hoc per i bambini».
Non resta che attendere. Ancora.