Mamadou Kouassi è partito dalla Costa d'Avorio nel 2005 con il cugino Emanuel. Arrivato in Italia nel 2008, dopo avere attraversato il deserto e conosciuto la prigionia in Libia. Approdato a Lampedusa, è stato accolto a Roma dal Centro Astalli prima di stabilirsi a Caserta. A lui si ispira la storia del film "Io Capitano", diretto da Matteo Garrone, che lui ha contribuito a scrivere. Oggi Mamadou ha 40 anni ed è mediatore e punto di riferimento del Csa all'ex Canapificio di Caserta.

 Accompagnando il film, ha iniziato un altro viaggio, quello della testimonianza e della sensibilizzazione. Un viaggio che lo condurrà domani anche a Reggio Calabria in occasione della commemorazione delle vittime di migrazioni. Qui incontrerà il coordinamento diocesano sbarchi, che nel 2016 accolse la porto le 45 salme, i rappresentanti istituzionali e la cittadinanza.

«Il documentario "Armo, storie di volontari e di migranti" racconta di migranti che non ce l'hanno fatta. È una storia che mi tocca molto da vicino perché io sono un sopravvissuto e ho visto morire persone nel deserto e in mare. Persone che non hanno avuto alcuna sepoltura. Anche a me sarebbe potuto toccare quello stesso tragico destino. L'imbarcazione sulla quale viaggiavo si è spezzata in due. Alcuni pescatori di Mazara del Vallo ci hanno visto e hanno chiamato la Guardia Costiera dalla quale io sono stato salvato. Ero in fin di vita. Senza il loro intervento di soccorso, anche io sarei morto in mare. Sento di voler ringraziare profondamente tutti i volontari di Reggio Calabria, che verrò a conoscere domani in occasione della Commemorazione delle vittime delle migrazioni. Persone che hanno accolto anche chi non era più vita, onorandone la memoria con la sepoltura. Un gesto dal valore inestimabile».

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