La glaciologa Giuditta Celli è da poco tornata da una spedizione italiana volta a trarre informazioni sul cambiamento climatico. Agli studenti di Cariati ha raccontato la sua avventura
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È originaria di una terra, come la Calabria, dal clima particolarmente mite, dove le temperature difficilmente scendono sotto i 15 gradi. Per professione, e forse anche per passione, però, ha scelto di occuparsi del freddo più intenso, anzi dei ghiacci. La dottoressa Giuditta Celli di mestiere fa la glaciologa e si occupa di chimica dell’atmosfera, un mestiere che l'ha portata fino agli estremi confini del pianeta. Nell'ultimo anno ha ha vissuto in uno dei luoghi più freddi e isolati della terra: il sito antartico denominato Dome C, dove si trova la stazione italo-francese Concordia, punto di riferimento della comunità scientifica internazionale per molte ricerche, come quella sui cambiamenti climatici che ha impegnato la dottoressa Celli per un anno intero. Al suo rientro in Italia per un periodo di riposo, ha partecipato ad un incontro con gli studenti di un istituto di scuola superiore di Cariati, cittadina ionica di cui è originaria.
«Eravamo nel nulla assoluto, in un deserto bianco, con temperature fino a meno 102 gradi. Per non sentirci troppo soli, facevamo insieme il tiramisù. Il silenzio è un’esperienza forte, senti solo il battito del cuore, il tuo respiro. L’isolamento è stato lungo ma ci ha regalato la gioia del cielo, l’incanto delle costellazioni, ho quasi pianto vedendo l’aurora», racconta la giovane ricercatrice agli studenti. Celli ha parlato loro della stazione Concordia e della sua partecipazione alla spedizione italiana, insieme a tecnici, ricercatori scientifici, un medico e addetti ai servizi (tredici persone in tutto), nell’ambito del Programma nazionale delle ricerche in Antartide, gestito da Enea e Cnr.
Il suo lavoro è consistito, tra l’altro, nel monitorare degli strumenti e nel prelevare campioni di neve e particolato atmosferico per trarne informazioni sul cambiamento climatico, le conseguenze sulla salute umana, e l’inquinamento che raggiunge l’Antartide. «Non è stato facile - ha commentato - affrontare mesi di isolamento e di freddo pungente e pericoloso, cento giorni di buio polare, o la mancanza di cibo fresco, di contatti, della famiglia… per poi riabituarsi alla vita normale, ma di certo l’esperienza, umana e scientifica, cambia il punto di vista su molte cose. Sono una persona che non si ferma mai, amo viaggiare, fare esperienza, però - conclude - sono anche attaccata a casa, il mio porto sicuro».