Salvatore Settis, archeologo e storico dell’arte, lo definisce sul Sole 24 Ore un cold case. Per la tempistica ultracentenaria (il caso è iniziato nel 1884) lo è di certo: la storia della “scure letterata” (cioè iscritta) o ascia di Kyniskos inizia in Calabria e finisce al British Museum, diventato nel corso degli anni tempio degli scippi culturali. Il reperto in questione è emigrato illegalmente da San Sosti – Comune che da più di 30 anni ne chiede la restituzione – ed è stato comprato all’asta a Parigi nel 1884. È la stessa scure in bronzo a parlare in prima persona nell’elegante incisione: «Io sono sacra alla dea Hera, quella che ha il suo santuario nel piano. Mi dedicò Kyniskos, il vittimario, e sono la decima del compenso per il suo lavoro».

Dove fosse il santuario non si sa. Un libro, firmato da Gino Famiglietti, già funzionario dei Beni culturali, prova a fare ordine nella vicenda del reperto conteso. La «scure letterata» e le sue peregrinazioni: dalla Calabria al British Museum è un’inchiesta documentata e ricca di spunti giuridici sull’ascia datata indicativamente tra il 530 e il 20 avanti Cristo. L’iscrizione va connessa a una delle “capitali” della Magna Graecia, Sibari (distrutta da Crotone nel 510 a.C.).

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Scoperta per caso nel 1846 nel circondario di San Sosti, in piena Valle dell’Esaro, la scure rimase a lungo in mano a notabili locali, anche dopo che l’archeologo napoletano Giulio Minervini la pubblicò sul “Bollettino archeologico napolitano” del 1853.

Dopo la creazione del Regno d’Italia finisce nella collezione di Alessandro Castellani, membro di una famiglia a cui la Fondazione Rovati ha dedicato a Milano la mostra «Tesori etruschi», appena conclusa. I contorni di questo passaggio sono misteriosi. L’autore del libro suggerisce avesse giocato un ruolo lo stesso Minervini, «offeso e deluso da quella stessa istituzione (il Museo Nazionale di Napoli, che avrebbe potuto acquisire la scure), e ormai ad essa estraneo».

Castellani la tenne con sé a Napoli prima e poi a Roma: dopo la sua morte, avvenuta nel 1883, il figlio Torquato la mise in vendita assieme ad altre antichità tra Roma e Parigi. Così arrivo dopo un lungo peregrinare – dalla Calabria a Napoli, Roma, Parigi – al British Museum.

La questione non è banale dal punto di vista giuridico: quel viaggio, spiega Famiglietti, fu illegale. Nelle Due Sicilie il decreto di Ferdinando I del 1822 vietava l’esportazione degli «oggetti che per la loro eccellenza si dovranno riguardare come conducenti alla istruzione e al decoro della nazione»; a Roma, secondo gli editti del cardinal Camerengo Bartolomeo Pacca (1819), oggetti «di sommo riguardo sia per l’Arte che per l’Erudizione», non potevano essere esportati senza permesso. Quelle leggi rimasero a lungo in vigore anche dopo l’unità d’Italia, dunque i viaggi che hanno portato il reperto a Londra vanno considerati abusivi. 

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Su questo non c’è dubbio: ma si può ancora rivendicare il ritorno della scure in Italia? Rivendicare sicuramente sì, quanto ad avere qualche speranza di rivederla in Calabria è più complicato. Due interrogazioni parlamentari hanno sollevato la questione dal 1996 a oggi.

La prima fu sollecitata dall’allora sindaco di San Sosti, Silvana Perrone: la presentò alla Camera dei deputati Romano Caratelli, in merito alla controversia tra il governo italiano e quello britannico circa la legittimità del possesso e la richiesta di restituzione del reperto, considerato uno dei più importanti della Calabria.

Nel 2016 toccò a Franco Bruno, parlamentare di Centro democratico, chiedere l’intervento di Dario Franceschini, ministro dei Beni e delle Attività culturali. Il deputato spiegava che «il destino di quest'ascia votiva, offerta da “ the boy boxer”, come chiamano a Londra il pugile bambino, originario di Mantinea e vincitore di un'Olimpiade, è significativo del depauperamento che il nostro Paese e la Calabria, in particolare, hanno subito spesso».

Il parlamentare ricordava che «il comune di San Sosti, da circa trenta anni, ha provato a rivendicare la restituzione dell'ascia, anche con il sostegno del Ministero» e che «le modalità di acquisizione dell'ascia da parte del British Museum non sono mai state rese note». Anche in questo caso, da Londra (ammesso che dall’Italia siano partite attività per riportare indietro la scure) nessuna risposta. Il British Museum si tiene stretta la sua ascia: peccato che non sia sua.