L’aveva chiamata la “Rivoluzione dell’Allegria”. Ma all’indomani della sua elezione a presidente dell’Argentina, il “calabrese” Mauricio Macri ha reso bene il senso della sua politica aggressiva: scomunicare immediatamente le “Abuelas”. Le madri de la Plaza de Mayo, in protesta da decenni per sapere la verità sui propri figli desaparecidos e che finalmente avevano avuto un riconoscimento ufficiale, con tanto di finanziamento, da parte dell’ex presidentessa Cristina Kirchner, sono state quasi perseguitate da Macri, avendole cacciate prima dalla piazza, poi stracciando il prezioso decreto governativo che le autorizzava a continuare la ricerca dei propri figli.

 

Un simbolo, un segnale molto forte che ha da subito fatto intendere quale sia la strategia politica di Macri: distruggere l’identità reale dell’Argentina e imporre una sorta di dittatura neo-liberista al cui interno non vi sia alcun riferimento al passato. E il suo lavoro continua senza disturbo. In questi giorni, infatti, il presidentissimo “calabrese” sta dando mandato ai suoi inservienti della “Casa Rosada” di togliere tutte le foto e le statue dei personaggi storici argentini. Da Ernesto Che Guevara, a Tupac Amaru e Simon Bolivar; da Ugo Chavez, a Salvador Allende e Pancho Villa. Persino Evita Peron verrà messa diseredata. Insomma, tutto ciò che appartiene al passato, glorioso o meno, Macri lo sta cancellando dalla sua vista. Un chiaro principio di dittatura, così come storia insegna, che parte dall’annullamento delle simbologie per instaurare un solo mito, ovvero l’edificazione del proprio culto della personalità.

 

“In pochi mesi – scrive in questi giorni “L’Espresso” - Mauricio Macri, ex presidente del Boca Junior, imprenditore, figlio di un immigrato italiano divenuto milionario, ha raso al suolo a suon di decreti l’intera costruzione politica del kirchnerismo incentrata sui Diritti Umani e Civili e sulla pratica economica keynesiana a sostegno del mercato interno e del salario. Dopo sei mesi di governocontinua l’articolo di Miriam Lewin - le promesse elettorali sono svanite: sul fronte sociale sono aumentati drasticamente gli indici di inflazione, di disoccupazione, e di povertà, mentre sul piano istituzionale non sembra essere migliorata la qualità dell’ordinamento parlamentare repubblicano, date le eccezionali attribuzioni assunte dell’esecutivo attraverso l’uso massiccio dello strumento del “Decreto di Necessità ed Urgenza”.

 

Inoltre, le politiche recessive, anche qui come nell’Europa dello spread sacrificate sull’altare del dio denaro, hanno portato l’Argentina in una quasi catastrofe sociale. Licenziamenti anche nel settore privato, dove oltre 150.000 persone hanno perso il lavoro; chiusura di molti mezzi di stampa; aumenti dei prezzi dei servizi pubblici - luce, gas, acqua e trasporti - con medie tra il 300 e il 500 per cento; inflazione stimata intorno al 6,9 per cento, la più alta degli ultimi 14 anni; povertà salita al 34,5 per cento nel primo trimestre 2016 rispetto al 29 per cento del trimestre precedente.

 

La cosiddetta “Rivoluzione Allegra” si sta, insomma, trasformando in una “Rivoluzione Triste”. Un brutto colpo e un brutto risveglio per una nazione come l’Argentina, che solo da qualche anno stava muovendo i primi passi verso l’emancipazione, in linea con le politiche maggioritarie progressive e anti-americane di tutto il sud America.