«Al dolore per la fine della mia relazione, si è aggiunto un forte senso di frustrazione per la condizione personale e professionale. Sto vivendo un fallimento e passo tutto il tempo ad addossarmi colpe che non ho, non riesco a perdonarmi. È la seconda volta in vita mia che vado alla Caritas, la prima volta è stata il mese scorso e mi sono sentita morire». Laura ha 43 anni e gli occhi ormai spenti. Mentre parla, si sorregge la testa con il braccio che tiene poggiato sul tavolo, quasi non avesse neanche più la forza di parlare. In una cassettina aperta di legno, poco distante da lei, c'è una serie di buste bianche e verdi in bella vista. Sono bollette di acqua, spazzatura e luce, ma anche multe per eccesso di velocità, che aspettano di essere pagate da mesi. Ce le mostra, le guarda, si strofina le dita delle mani sulla fronte, quasi stesse cercando nella sua testa un’idea geniale per mettere fine alle sue sofferenze.

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Laura è una dei tanti italiani che, per una serie di circostanze, sono entrati nel novero dei “nuovi poveri”, quella categoria di persone che, pur avendo un lavoro, lotta quotidianamente per la sopravvivenza. Dopo una laurea a pieni voti in Economia aziendale e un master, sceglie di restare nel paese di residenza, nella Riviera dei Cedri, e provare a costruirsi un futuro lì, con il parere contrario di amici e parenti. La sua determinazione viene però premiata.

Dopo qualche difficoltà e tanti bocconi amari, finalmente nel 2016 firma un contratto a tempo indeterminato in un’azienda del posto, mettendo il sigillo su uno stipendio di circa 1.100 euro al mese. Cifra ragguardevole, a queste latitudini. Ma dopo un breve periodo di serenità e prosperità economica, si ritrova all’improvviso in un vortice di disperazione.

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Il castello crollato

Per addentrarci nella sua storia, è necessario riavvolgere il nastro del tempo. Laura ha 35 anni, è nel pieno della sua carriera, diventa madre. Di comune accordo con l’allora compagno, vanno a vivere tutti e tre in un grazioso appartamento al terzo piano di uno stabile che sorge in pieno centro abitato. Per di più, dal terrazzo si vede il mare. L'affitto, compreso di spese condominiali, è poco meno di 500 euro al mese. La coppia stringe i denti e va avanti, forte anche del nuovo impiego di lui, che nel frattempo diventa magazziniere in un grosso supermercato. Tutto scorre liscio fino all’arrivo della pandemia. L’incertezza del futuro e due genitori finiti in rianimazione a causa del Covid, destabilizzano la salute mentale del giovane. In casa cominciano le liti e sono sempre più frequenti. Laura capisce che è un momento delicato e per un po’ soprassiede. Ma anche quando il peggio sembra passato, si rende conto che niente è più come prima. Qualcosa si è rotto. Il compagno entra nella spirale della depressione e diventa aggressivo. Inevitabilmente, arriva la separazione.

Lui torna dalla famiglia d’origine, lei resta a casa con la bambina, convinta che, con un po’ di sacrificio e qualche aiuto, riesca comunque a sbarcare il lunario. Tre mesi dopo, però, l'ex compagno viene licenziato e il contributo economico pattuito per il mantenimento della bambina, svanisce. Lui sta sempre più male, lei rinuncia a trascinarlo in tribunale. Ma far quadrare i conti diventa un’impresa, anche quando la busta paga subisce un piccolo aumento e garantisce gli assegni famigliari.

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Sacrificio e povertà

D’un tratto, quello stipendio, che prima sembravano un tesoretto e le consentiva di togliersi più di qualche sfizio, ora non basta nemmeno per arrivare alla metà del mese. Laura deve provvedere da sola ad acquistare cibo, vestiti, libri, quaderni, poi bisogna pagare le bollette, le tasse, l'abbonamento per scuolabus e mensa, ed infine ci sono le spese per l’auto e per la casa. Va a finire che quando sua figlia, a gennaio scorso, le chiede di poter partecipare al compleanno di un’amichetta, la madre è costretta a dirle di no perché non ha i soldi per il regalo. Laura si chiude in bagno e piange. Le sue sono lacrime amare. Sognava una vita felice in una famiglia solida e unita, si è ritrovata invece da sola, a poco più di 40 anni, a lottare per la sopravvivenza. «I miei genitori – dice – sono due pensionati e hanno una salute precaria. Quando possono mi aiutano, ma non riescono a fare più di tanto». Pure i nonni paterni della bimba provano a dare una mano, ma quei soldi servono a pagare qualche debito al supermercato o in cartoleria.

La richiesta di aiuto alla Caritas

Così, esasperata, Laura un bel giorno prende coraggio e si presenta alla Caritas. «Quando uno dei volontari mi ha chiesto cosa volessi, non mi uscivano le parole di bocca, ero come paralizzata. Ma lui ha capito e mi ha accompagnato in una stanzetta piena di pacchi alimentari». Ma, anziché gioire, diventa viola in volto. «Mi sono sentita una fallita, fuori luogo, una madre incapace di garantire la serenità famigliare a sua figlia e pure un po’ di pane. Ho provato vergogna verso me stessa per non essere riuscita ad essere la donna che sognavo. Ed è stato terribile».

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Il sogno sfumato

Laura prova più volte negli ultimi mesi a dare una sferzata alla sua esistenza, ma non ci riesce, frenata da una serie di ostacoli burocratici e una condizione psicologica drammatica. «Ho provato anche a chiedere un aumento al mio datore di lavoro ma mi è stato risposto di no. Tutto sommato, sono pure fortunata. Nell’azienda è in corso una riorganizzazione per esubero del personale e io sono tra coloro che sono stati “risparmiati”». Anche cambiare lavoro non sembra una buona idea, al momento. «In questo periodo, lasciare un contratto a tempo indeterminato è una pazzia. Sono sicura che potrei aspirare a qualcosa di più, ma chi mi dà la certezza di un altro posto fisso e la regolarità dei pagamenti? E dove prendo le forze per ricominciare da capo?». C’è poi la questione che riguarda l’ex compagno e che, prima o poi, dovrà essere affrontata. «Certo, ma è il padre di mia figlia e io voglio solo il suo bene. La sua salute in questo momento è la priorità».

Allora, come si esce dall’impasse? «Io credo che in Italia ci sia bisogno di una nuova politica del lavoro che garantisca salari minimi più alti e garantisca a chiunque, anche a un genitore single, di vivere dignitosamente e crescere i propri figli senza dover finire alla Caritas o sentirsi dei falliti. Mentre i prezzi di affitti e beni primari salgono di ora in ora, gli stipendi dei lavoratori sono quasi uguali a quelli di 20 anni fa. Non si può continuare così». Intanto, per lei si fa sempre più largo l’ipotesi di tornare a vivere a casa dei genitori. «Perderei la mia indipendenza e la mia libertà, conquistate a fatica, sarebbe l’ennesima sconfitta, ma non vedo altra soluzione. L’alternativa - dice con voce tremante - è finire sotto a un ponte». Poi interrompe il suo racconto, si porta le mani al volto e si lascia andare a un pianto disperato.