«Sono stato lontano da Reggio per tanto tempo e sentivo dentro di me di dovere tornare qui. Questa volta sono venuto in macchina e mi sono reso conto della reale distanza. Ho percorso 2300 chilometri. Sono davvero molto contento di essere qui».

Ci sono esperienze dolorose che riescono a generare solidarietà e speranza. Tra queste c’è quella di Martin Kolek, attivista in mare e psicoterapeuta per bambini e adolescenti rifugiati traumatizzati, giunto a Reggio Calabria dalla città tedesca di Delbrück, con la moglie Dorotea, per ritrovare le persone conosciute seguendo le tracce dei piccoli Mohamed e Maryam, i cui corpicini senza vita trasse dalle acque del Mar Mediterraneo nel maggio 2016, quando era componente dell'equipaggio della SeaWatch 2. Un’esperienza che lo segnò profondamente al punto da destare in lui il bisogno vitale di arrivare in Calabria, a Reggio dove le piccole salme erano state trasportate per essere seppellite nel cimitero per i migranti di Armo, luogo di memoria con il quale Martin ha un legame speciale.

«Sono qui perché non voglio dimenticare»

«Io so che le persone tratte dall’acqua senza vita riposano qui, in questo cimitero. Sono qui unicamente perché voglio ricordare e non voglio dimenticare queste persone. Non voglio dimenticarle. Sono stato al cimitero con un piccolo giubbotto di salvataggio per bambini. L’ho portato con me perché voglio che quel momento in cui presi i piccoli Mohamed e Maryam ormai esanimi dal mare diventi un monito non solo per me ma per tutta la comunità internazionale», ha raccontato Martin Kolek.
Ai due piccoli, nel 2017, Martin ha dedicato anche il volume auto pubblicato "Terra del futuro - Mission Possible", tra i primi strumenti del progetto di sensibilizzazione avviato da lui in Germania.

Un legame di amicizia e di collaborazione

Un’esperienza di dolore e una ricerca che hanno fatto dono anche di un’amicizia profonda tra Martin, i volontari e le volontarie del coordinamento diocesano sbarchi di Reggio e don Nino Pangallo, direttore della Caritas di Reggio Calabria; un’amicizia che sta unendo anche l’arcidiocesi di Reggio Calabria-Bova e quella tedesca di Paderborn che ha donato, grazie all’intercessione di Martin, 16mila euro per contribuire al progetto di riqualificazione dello stesso cimitero dei migranti di Armo, finanziato con fondi della Caritas italiana e donazioni. Il cimitero sorge su un terreno messo a disposizione della Diocesi Reggio-Bova dal Comune reggino.
«Siamo particolarmente contenti di questo ponte di solidarietà che stiamo costruendo con Martin. Averlo conosciuto e avere stretto con lui questa amicizia ci rende orgogliosi per l’impegno immenso che profonde per una causa universale che riguarda i nostri fratelli e le nostre sorelle in fuga dalla disperazione», ha sottolineato don Nino Pangallo, direttore della Caritas diocesana reggina.

Un’esperienza di collaborazione che non si esaurisce in questo progetto ma che dovrà continuare ancora a lungo, coinvolgendo tante persone e scuotendo tante coscienze circa il tema delle migrazioni, delle fughe da guerre e violenze e povertà, e delle morti durante l’attraversamento del Mediterraneo.
«Ciò che dobbiamo fare è pensare a cosa accade e a cosa fare per il futuro; questa missione non si esaurisce. È un lavoro che ci impegna per tutta la vita», ha spiegato l’attivista tedesco.

«Siamo tutti esseri umani, in ogni luogo»

La sua è un’instancabile e appassionata opera di sensibilizzazione, incentrata sulla visione di un nuovo modo di sentirci fratelli e sorelle, al di là di un passaporto. «Siamo europei, siamo tutti esseri umani, in ogni luogo e non possiamo fermarci e limitarci ai confini delle nazioni o alle aree religiose», ha sottolineato ancora Martin Kolek.

Un legame che dovrà crescere nel tempo, seminando solidarietà e alimentando altri incontri tra luoghi e persone avvicinati dalla chiara consapevolezza che è dovere di civiltà non restare indifferenti. «Così io torno, vado e torno ancora. Spero che un numero sempre maggiore di persone venga qui per condividere questa esperienza di solidarietà e di comunità e per rendersi conto che tutto questo non sarebbe mai dovuto accadere e che è possibile che smetta di succedere», ha concluso Martin Kolek.