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Nella giornata di ieri la Questura di Vibo Valentia ha dato esecuzione a due provvedimenti di sequestro emessi dall’Autorità Giudiziaria nei confronti di Pubbliemme e Diemmecom, relativi a fatti denunciati da ex dipendenti delle predette società. Il primo provvedimento è relativo all’utilizzo di telecamere nei luoghi di lavoro. Dopo aver proceduto alla perquisizione all’interno degli immobili delle società, l’attività di indagine, che si è spiegata per oltre quattro ore ed in luoghi diversi, ha portato al sequestro di alcune telecamere e di un apparato DVR, allocati in locali di uso comune e immediatamente rinvenibili. Nulla è stato rinvenuto negli altri luoghi oggetto di perquisizione. L’altro provvedimento attiene un sequestro preventivo di 26.300 euro relativi al ricorso alla cassa integrazione fatto da parte delle aziende. L’attività è stata oggetto di una comunicazione della Questura, che potete leggere a questo link, rilanciata con enfasi e titoli ad effetto che hanno ovviamente creato incredulità nei confronti dell’opinione pubblica, con l’utilizzo di termini quali “spionaggio”, francamente surreali e fuori luogo.
Nella comunicazione non è stato fatto il nome delle società interessate, ma per una questione di correttezza e trasparenza, essendo l’informazione la nostra missione, riteniamo di dover chiarire la nostra posizione di fronte all’opinione pubblica, per il senso di responsabilità che deriva dal fatto di essere il più importante gruppo di informazione e comunicazione calabrese.
Ferma restando la piena fiducia in una rapida e completa verifica da parte degli inquirenti delle questioni oggetto delle indagini, che va innanzitutto nel nostro interesse e in quello dell’opinione pubblica, che verrà dettagliatamente e tempestivamente informata di ogni successiva evoluzione procedimentale, serve fare, già da ora, alcune puntualizzazioni.
1) Le telecamere di sicurezza servono, come in qualunque azienda e in maggior modo nei settori che si occupano come noi di comunicazione e informazione, a tutelare costose attrezzature e preziose dotazioni tecnologiche che annualmente impegnano centinaia di migliaia di euro in investimenti. Riesce francamente difficile comprendere come possa una telecamera di sicurezza “intercettare comunicazioni tra persone” e come tale attività possa, anche solo in ipotesi, costituire fatto di reato.
Le telecamere di sicurezza erano e sono visibili a tutti coloro che accedono nella struttura, e sono state collocate nell’immobile per esclusive ragioni di tutela del patrimonio. Restiamo stupiti dal fatto che delle telecamere di sicurezza regolarmente autorizzate dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Vibo Valentia, in uso in tutte le aziende, possano essere narrate come strumento di “spionaggio” di giornalisti, tecnici, operatori e amministrativi. È del tutto evidente che il giornalista, nel momento in cui si siede alla scrivania di lavoro a scrivere o a montare un servizio dopo aver partecipato a una conferenza stampa, documentato un evento o intervistato qualcuno, non abbia bisogno di essere “spiato”: la sua attività è fisiologicamente destinata alla pubblicazione o alla trasmissione nei telegiornali, tutti la possono vedere perché costituisce la risultante di un lavoro redazionale. Come gli addetti ai lavori sanno, il controllo si esercita in varie forme, impedendo al giornalista di occuparsi di alcuni argomenti o vietando la pubblicazione di notizie scomode, ma mai può essere esercitato con una telecamera di sorveglianza in un corridoio o in uno stanzone nel momento in cui il giornalista si mette a scrivere o a montare il servizio Tg di cui è stato incaricato. Ma delle questioni giuridiche si occuperà l’Autorità Giudiziaria, nella quale riponiamo piena fiducia, avendo dato mandato al nostro legale di fiducia per la tutela dei nostri interessi in tutte le sedi, ribadendo che comunque primaria resta la necessità che si faccia piena e rapida luce sulla vicenda.
2) Quanto al sequestro dei 26.300,00 euro, attesa la natura sicuramente ipotetica della contestazione formulata (il provvedimento parla di fumus ed esclude categoricamente la configurabilità del reato di truffa) e, quindi, ancora prima dell’accertamento definitivo dei fatti, ci chiediamo quale sia stata la necessità di procedere “al congelamento” di tale somma per preservarne la confisca, visto che si tratta di società che fatturano mensilmente cifre di ben altra consistenza. Avremo comunque modo di comprendere quale sia la ratio del sequestro di tali somme, per fatti ancora indagati allo stato embrionale, quando le società di cui si tratta non hanno fatto in alcun modo ricorso a provvidenze legate ai “fondi covid” ed è a tutti nota l’entità delle truffe che hanno interessato il settore, queste si di interesse per l’opinione pubblica.
Nei prossimi giorni i Giudici competenti daranno una prima risposta a tali quesiti, ma ciò che fin da ora è certo è l’inconsistenza logica e giuridica degli addebiti e l’enfatizzazione degli accadimenti. Siamo certi che sulla vicenda sarà fatta completa chiarezza.