Vent’anni in un soffio adesso fluttuante nell’eternità, come un lungo bacio nel vento. Chiara e Domenico, uniti da un amore già grande e profondo, nella tenerezza di un sentimento cresciuto con loro, erano insieme anche in quella buia notte di fine inverno di dieci anni fa quando la violenza di un uomo ha spezzato le loro esistenze, non intaccando la forza dell’intreccio meraviglioso delle loro vite.

Conoscendo la storia di Domenico e Chiara si impara a distinguere i legami imprigionati nel buio dell'ignoranza e dell'egoismo, quelli lontani da ogni stato di grazia, i sentimenti di possesso che nulla centrano con l’amore perché soffocano e attanagliano sempre, dagli amori che elevano lo spirito, moltiplicano l'amore stesso e si nutrono di sogni capaci di germogliare ovunque e nonostante tutto. Amori che restano splendenti anche al di là della morte.

Quel sogno di una vita insieme

Nati e cresciuti a Reggio Calabria, Domenico e Chiara camminavano insieme incontro al loro futuro, come si fa quando la fedeltà non è un vincolo che incatena ma il dono di essere e restare, nel bene e nel male, accanto alla persona amata, sempre e fino in fondo.

Il sogno di una vita insieme, che coltivavano con gioia e semplicità, li aveva condotti fuori dalla Calabria, alla ricerca di maggiori opportunità lavorative. In particolare nel febbraio del 2012 si erano recati insieme a Brescia, con l’obiettivo di restarvi. Domenico aveva già fatto un colloquio di lavoro, che si era rivelato molto promettente, e inizialmente avrebbero vissuto a casa della mamma di Chiara, Francesca Alleruzzo, maestra di origini reggine, separata dal padre di Chiara Dino Matalone, con cui la giovane viveva a Reggio, ed anche dal suo secondo marito Mario Albanese con cui aveva avuto tre figlie.

«Avevano già le idee chiare. Avrebbero voluto restare insieme per sempre ed essere felici ma un destino avverso li ha travolti», racconta Benedetto, conosciuto come Nuccio, Tortorici, papà di Domenico.

Ritrovare in fondo al dolore e alla nostalgia, amore, tenerezza e coraggio, ricordando una notte di fine inverno di dieci anni fa in cui, lontano da casa, due giovani, sono morti insieme per mano di un uomo, significa che la loro storia non è finita quel 4 marzo del 2012 nel quartiere San Polo di Brescia e che il loro legame non si è spezzato.
Non si è spezzato neppure nel ricordo di chi li ha conosciuti; ricordo che quella morte assurda, prematura, inconcepibile, non offusca come non stempera la magia dell’incontro tra le esistenze né la bellezza con cui sono stati capaci di rivestire le vite loro e di tutti coloro che li hanno circondati. Ad un passo dai vent’anni, avevano già scelto di trascorrere insieme tutta la loro vita. Quella vita è stata, però, breve. Troppo breve.

La notte più buia

Quella notte drammatica tra il 3 e il 4 marzo 2012 Mario Albanese, ex marito di Francesca che non aveva accettato la nuova vita dell'ex moglie, ha atteso fuori casa che lei tornasse con la persona che stava frequentando, Vito Macadino. Li ha attesi per ucciderli e poi, entrando in casa, ha ucciso anche Chiara, figlia nata dal primo matrimonio dell'ex moglie con altro uomo, e il suo fidanzato Domenico. Ha risparmiato la vita soltanto alle tre figlie, avute con l’ex moglie che aveva appena ucciso. A Francesca non è stato consentito di iniziare una nuova vita senza l'ex marito e il progetto di annientamento messo in atto dall'uomo per ostacolare quella libertà e quella felicità, ha travolto anche i due giovani, in realtà vittime indirette di un femminicidio. Mario Albanese, arrestato subito dopo i fatti, è stato definitivamente condannato all’ergastolo nel 2014 per omicidio plurimo e volontario.

«Ricordare quello che è successo credo sia necessario per acquisire consapevolezza circa un fenomeno gravissimo e diffuso nella nostra società come la violenza contro le donne. Un male che non accenna a regredire, come ci dimostrano le cronache giornalistiche quotidiane. Sono trascorsi dieci anni ma nulla sembra cambiato in meglio, purtroppo», sottolinea Dino Matalone, papà di Chiara e ex marito di Francesca.

Sopravvivere a un figlio e a una figlia

Quando sono un figlio e una figlia a non esserci più, lo scorrere del tempo allenta, solo apparentemente, un dolore che mai sarà placato e quel distacco avvenuto allora è rivissuto in ogni istante, anche quando la vita va avanti con altri figli e altre figlie che crescono e costruiscono la loro vita.

«Sono trascorsi 10 anni ma è come se fosse successo oggi. Il ricordo è sempre vivo, indelebile. A casa la stanza di Domenico è ancora lì come lui l’aveva lasciata, prima di partire per Brescia. Non riusciamo ancora ad andare oltre. Il suo sorriso, la sua presenza mancano come l’ossigeno. È un ricordo luminoso, perché Domenico era un ragazzo sorridente e generoso ma è anche un ricordo che diventa subito doloroso, perché nel cuore la ferita non si rimargina. Non può rimarginarsi. Io e mia moglie Marisa andiamo avanti, ci facciamo forza con la gioia degli altri due figli, Antonino con la moglie Sara e il piccolo Enea, e Palmiria con il fidanzato Fortunato. Anche loro hanno perso un fratello meraviglioso, che oggi sarebbe stato uno splendido uomo di trent'anni, al quale erano molto legati. Insieme ci sosteniamo vicendevolmente e non dimentichiamo», racconta Nuccio Tortorici, papà di Domenico.

«Nonostante siano passati dieci anni da quella drammatica notte, Chiara è sempre con noi, nei nostri ricordi e nelle nostre conversazioni quotidiane. Io e mia moglie ricordiamo quel suo broncio che io prendevo sempre in giro, i nostri battibecchi e anche quei tanti momenti in cui non avevamo bisogno di troppe parole per intenderci. Non possiamo e non vogliamo dimenticare la sua voglia di vivere e di scherzare. Non dimentichiamo Chiara e mai la dimenticheremo. Le mie figlie, Giulia e la più grande Enza, la ricordano con grande affetto. Adesso Enza inizia ad indossare i suoi abiti e ad usare anche i suoi accessori. Tutto era rimasto lì dove Chiara lo aveva lasciato. Nulla abbiamo toccato e adesso sono molto contento che Enza faccia, in questo modo, rivivere Chiara», racconta Dino Matalone, papà di Chiara.

I luoghi del cuore

Se i luoghi potessero parlare certamente il muretto sul lungomare di Catona, dove i due giovani hanno condiviso tanti momenti spensierati e felici e accanto al quale l’associazione Amici di Domenico e Chiara presieduta dal papà di Domenico, Nuccio Tortorici, ha adottato due aiuole che amorevolmente da quasi cinque anni cura, avrebbe tanto da raccontare. Grazie all’impegno di Nuccio Tortorici, questo luogo dal 2017 racconta questa storia ed emoziona.
«In loro memoria abbiamo adottato le aiuole che sorgono proprio nel posto in cui Domenico e Chiara sono cresciuti Insieme. Quando venivo a prenderli, erano lì ad aspettarmi, seduti su questo muretto, per loro un luogo del cuore. Così quelle aiuole, con piantine di mirto, alberelli di ulivo e al centro un cuore in pietra lavica adagiato sul pietrisco, rievocano sentimenti e destano emozioni. Teniamo così vivi, inseparabili nel loro amore come nella memoria, i nostri ragazzi, di cui siamo ancora fieri e orgogliosi. Speriamo che il comune di Reggio Calabria voglia accordarci anche la possibilità di intitolare la piazzetta dove insistono le due aiuole alla loro memoria. Al più presto avvieremo l’iter», spiega Nuccio Tortorici, papà di Domenico.

L'amore che vince la morte

“Quello che eravamo prima l’uno per l’altro, lo siamo ancora”, Da “La morte non è niente” di Henry Scott Holland, ecco la frase che rifulge sul cuore di pietra lavica, che si incastona nel tramonto sullo Stretto, mentre due giovani passeggiano teneramente mano nella mano. Un luogo che sconfigge la morte e dove palpitano la vita e l’amore.
«Nuccio ha realizzato tante iniziative per alimentare la memoria che è importante non spegnere. Tra queste anche l’adozione di queste aiuole, proprio nel luogo a Chiara e Domenico così familiare. Erano una bella coppia, genuina e affiatata. Avevano scelto di vivere insieme; così sono certo vorrebbero essere ricordati», sottolinea Dino Matalone, papà di Chiara.

I ricordi non possono supplire, non possono guarire un'atroce assenza, ma possono curare la nostalgia, accompagnarla in un fluire meno insostenibile. Il cammino di questa memoria è iniziato subito dopo la tragedia, proprio su impulso del padre di Domenico, Benedetto (Nuccio) Tortorici che ha fatto dono della sua storia nel libro “Domenico e Chiara, amore e dolore di padre. Brescia, 4/3/2012" (Città del Sole Edizioni) pubblicato nel 2013, ed è stato poi scandito dalla consegna di borse di studio poste a disposizione dall'associazione Amici di Domenico e Chiara per studenti in difficoltà diplomatisi presso l'Itis Panella Vallauri e l'Ite Piria Reggio Calabria, frequentati rispettivamente da Domenico e da Chiara, e presso l’Istituto Comprensivo Est 2 di San Polo di Brescia dove il papà di Domenico si è recato incontrando i ragazzi, accolto dalla Casa delle Associazioni. Poi ancora sono state due le edizioni della Corricatona – trofeo Amici di Domenico e Chiara. Un percorso condiviso, scandito da iniziative di aggregazione e condivisione, che nel tempo ha visto accanto all’associazione Amici di Domenico e Chiara, amici, le parrocchie di Catona e Salice, quartieri natii di Chiara e Domenico, e altre associazioni come l'Avis comunale OdV e il Centro Sportivo Italiano di Reggio Calabria, l’associazione Nuova Solidarietà di Catona.

La memoria, pur non potendo cancellare il grande dolore di una perdita così incolmabile, per altro in circostanze così violente, dimostra di poter diventare scia luminosa di stelle che instancabilmente vengono giù da un cielo brillante, scrigno di una storia d'amore bellissima come i vent’anni bastati per accenderla.