«Devastato un intero territorio»: la Calabria avvelenata da tonnellate di rifiuti campani

Per gli inquirenti il «dominus del sodalizio» era Angelo Romanello originario di Siderno. I materiali pericolosi finivano al Nord ma anche in una cava di Gizzeria e in una di Lamezia Terme

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di Redazione
7 ottobre 2019
15:01

C'erano anche rifiuti campani, e in particolare di Napoli e Marcianise (Caserta), tra le migliaia di tonnellate di smaltimenti illeciti tracciate nell'indagine sullo stoccaggio in capannoni del Nord Italia, e in Calabria, coordinata dalla Dda di Milano. Il particolare è emerso nel corso della conferenza stampa tenutasi stamani al Comando provinciale dei carabinieri, a Milano, alla presenza del procuratore aggiunto, Alessandra Dolci, e del sostituto, Silvia Bonardi. I rifiuti, compreso 'umido e indifferenziato' provenienti da Napoli, arrivavano in Lombardia tramite un'azienda, la Smr Ecologia srl di Busto Arsizio (Varese), e di qui poi, una volta intasati i capannoni locali, finivano in Calabria "in zone a vocazione agricola e paesaggistica", anche vicino al mare.

Dove finivano i rifiuti

I rifiuti finivano al Nord a Como, (in località La Guzza), a Varedo (Monza e Brianza) nell'area ex Snia, a Gessate e Cinisello Balsamo (Milano), per un ammontare di circa 60 mila tonnellate accertate. Il sito ex Snia "copre un'area ampissima nei comuni di Limbiate e Paderno Dugnano per 400mila mq di superficie. Da circa 15 anni il sito è in stato di abbandono a causa della fine della produzione industriale e non è stato ancora oggetto delle opere di bonifica previste". Al Sud finivano in una cava a Gizzeria (Catanzaro), dove già nel 2014 erano stati scoperte armi e droga in fusti interrati, e alla Cava Parisi a Lamezia Terme, in modo così incurante di ogni regola da causare «la devastazione di un intero territorio».


«L'azienda è nostra»

Fra le carte dell’indagine - come sottolineato dagli inquirenti della Dda di Milano, -  c'è un’intercettazione definita ‘bellissima’ perché esemplifica le modalità con cui la ‘ndrangheta entrava nelle aziende di smaltimento rifiuti del nord, letteralmente “occupandole”, per poi arrivare a farsi cedere le quote. I criminali calabresi cominciavano con l’utilizzare i mezzi e gli uffici di una ditta brianzola, andavano avanti con l’usurparne i beni, fino addirittura a fare rifornimento alle loro auto nell’impianto, e finivano con il comprare la società; è a questo punto che l’imprenditore brianzolo ormai stremato alza le mani: “È come se gli invitati a pranzo in casa mia cominciassero a mangiare la pasta senza aspettarmi. Noi al nord non siamo capaci di fare queste cose”, confessa, nel corso di una riunione con i malviventi; la risposta non si fa attendere: “L’azienda è nostra, metteremo a capo un nome candido come la candeggina”.    

Il traffico intercettato dalle indagini milanesi porta a disegnare una mappa del crimine ambientale che ha origine in Campania, regione da cui provengono la maggior parte dei rifiuti qui sequestrati, e prende la direttrice del nord, tra le province di Como, Pavia e Milano: qui vecchi capannoni industriali prendono la forma di discariche illecite, a cui poi viene dato fuoco.

Sigilli a 14mila tonnellate di rifiuti

Complessivamente, nel corso dell'indagine, sono state sequestrate 14mila tonnellate di rifiuti, che solo nel 2018 "hanno fruttato 1 milione e 400 mila euro". Il principale indagato è Angelo Romanello, 35 anni, originario di Siderno (Reggio Calabria), definito il "dominus del sodalizio", catturato a casa sua, a Erba (Como). Con lui è finito in carcere Maurizio Bova, di 41 anni, originario di Locri (Reggio Calabria). Per altri nove sono stati chiesti i domiciliari. Tra di loro anche una consulente ambientale, iscritta all'albo in Lombardia, che operava per consigliare le migliori modalità di smaltimento illecito.

 

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