In un vertice in Prefettura la Cgil apprende che nessuna "clausola di salvaguardia sociale" è possibile nelle more della procedura fallimentare
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A.A.A. impianto di stoccaggio dei rifiuti vendesi, ma senza l’obbligo di riassumere i lavoratori che vi operavano. Capita anche questo nel settore ambientale in Calabria, dove finanche falliscono le società miste messe in piedi negli anni dagli enti pubblici, e questa volta i libri portati in Tribunale costringono a mettere sul mercato l’unico sito attrezzato che c’era nella Piana reggina.
È localizzato a Palmi, ne era proprietaria una società fallita – la Radi, sottoposta tuttora al regime dell’amministrazione giudiziaria, dopo aver gestito la raccolta in diversi centri della zona – e ora si scopre, grazie a una nota diramata dal segretario della Filcams Cgil, Giuseppe Valentino, che nella vendita che sta predisponendo il curatore non sarà possibile assicurare la continuità occupazionale dei lavoratori.
Erano stati infatti licenziati, e il sindacato ha provato – durante un vertice tenutosi in Prefettura – a far inserire nell’asta anche una “clausola sociale” per far sì che chi compri assuma degli obblighi anche verso chi ha perso il lavoro. Il curatore fallimentare Pietro Paolo Germanò, però, ha spiegato che tale previsione non è possibile – visto il licenziamento già avvenuto – confermando che la vendita del complesso aziendale riguarda esclusivamente mezzi e strutture di un impianto che era considerato un fiore all’occhiello per l’intera provincia.
«La Cgil – conclude la nota – ha avviato e richiesto interlocuzioni con le istituzioni locali e regionali affinchè si definisca, nel ciclo di gestione dei rifiuti di competenza dell’Ato di Reggio Calabria, il ruolo che l’impianto di stoccaggio ex Radi deve avere all’interno del sistema pubblico/privato».
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