Episodi con cadenza ormai quotidiana, che fanno stringere il cuore e perdere fiducia nell’essere umano. Decine di cani sono stati avvelenati negli ultimi mesi in Calabria, come ottusa, ignobile, risposta al dilagante fenomeno del randagismo. L’ultimo risale a ieri.  A Santa Maria del Cedro, nel Cosentino, alcune cani sono stati avvelenati mediante pasticche di acido, ddt e diserbanti. Due sono morti tra atroci dolori, uno è sopravvissuto grazie all’intervento dei veterinari.  Chi compie questi gesti, oltre che spietato, è anche poco informato, poiché non si rende conto del danno che provoca all’ambiente. Sostanze come i diserbanti, gli acidi e gli insetticidi, si spargono sulle piante, penetrano nel terreno, contaminano grandi porzioni di terreno. Perché i cani, una volta avvelenati, corrono in preda ai dolori e spargono l’agente tossico che portano addosso tramite il vomito e le urine. Paradossalmente un avvelenatore di cani di oggi, fra sei mesi potrebbe mangiare un pomodoro contaminato dal suo stesso veleno. E subirne le conseguenze. Senza contare che le polpette avvelenate, abbandonate vicino ai cespugli o sui marciapiedi, potrebbero anche essere notati e presi in mano dai bambini. Che, esattamente come i cani, non ne percepiscono la pericolosità e potrebbero portarle alla bocca con conseguenze imprevedibili.

 

Trovare le esche e farle rimuovere

Ma cosa fare per limitare al minimo la possibilità di imbattersi in queste trappole mortali? Innanzitutto perlustrare bene il perimetro che il cane (o il gatto) percorre abitualmente, soffermandosi su aiuole e angoli più nascosti. I bocconi, a seconda delle sostanze usate, contengono dei cristalli bianchi o colorati, pezzi di vetro e chiodi, che li rendono più visibili, oltre che letali. Una volta individuata l’esca, è fondamentale non toccarla e sporgere regolare denuncia presso i vigili urbani o i carabinieri.

 

Le forze dell’ordine non solo dovranno provvedere a rimuovere le esche avvelenate e bonificare la zona ma qualora identificassero il responsabile dell’avvelenamento lo potrebbero perseguire a termini di legge: l’avvelenamento, così come il maltrattamento degli animali, è infatti un reato penale punibile dalla legge sulla caccia (L.N. 157/92 art. 21, che prevede un’ammenda fino a € 1549,37) nonché dalle leggi sanitarie (art. 146 T.U. Leggi Sanitarie, che prevedono la reclusione da sei mesi a tre anni e un’ammenda da € 51,65 fino a € 516,46)

 

 

I veleni più usati per le esche

Gli agenti tossici usati per avvelenare i bocconi sono essenzialmente quattro:

La stricnina è un alcaloide altamente tossico, la cui dose letale è un mg per chilo. Agisce come potente eccitante del sistema nervoso centrale, causando il blocco di particolari terminazioni nervose, i recettori post sinaptici per la glicina. Questo fa sì che ogni stimolo causi convulsioni. Per questo motivo eè facilmente riconoscibile. Il cane irrigidisce la muscolatura, soprattutto quella di testa e spalle. La morte sopravviene per blocco respiratorio o per esaurimento fisico. Se si riesce a soccorrere tempestivamente l’animale (entro venti minuti) è possibile somministrare l’antidoto. La forbice temporale si allarga se si riesce a far rimettere l’animale. Il metodo più facile è fargli ingerire dell’acqua ossigenata, nella quantità di un cucchiaino ogni 5 chili in base al peso del cane. Con il vomito parte del veleno dovrebbe essere eliminato.

 

Il metaldeide. Facilmente reperibile perché utilizzato in agricoltura come fitofarmaco contro le lumache, si presenta sotto forma di granuli colorati. I sintomi compaiono dopo circa un paio d’ore in forme simili a quelle della stricnina, ovvero tremori, convulsioni, irrigidimento e diarrea fino alla morte, causata dal soffocamento. Purtroppo per questo veleno ancora non esiste un antidoto univoco e l’unica soluzione è quella di portare immediatamente il cane dal veterinario che provvederà ad abbassare la tossicità dell’organismo del cane.

 

Topicidi. Anche questi sono facilmente reperibili. Possono presentarsi in liquido, in cialde, in pasta o in granuli, tutte forme facilmente occultabili in un boccone di carne. Il veleno agisce inibendo l’azione della vitamina k, rendendo il sangue più liquido. Dunque i segnali di ingestione sono fuoriuscite improvvise di sangue dal naso, e dalle mucose. Le emorragie si manifestano a qualche ora dall’assunzione del veleno, per cui bisogna prestare particolare attenzione e portare immediatamente il cucciolo dal veterinario per la somministrazione dell’antidoto. Fondamentale, a prescindere dal veleno ingerito, è l'osservazione del cane.

 

C’è poi il glicole etilenico, ovvero il semplice antigelo usato per le auto. È un liquido incolore, non ha un cattivo sapore, e provoca una rapida escalation di sintomi. Dopo circa mezz’ora il cane comincia ad accusare nausea e vomito, tendendo a bere e urinare in maniera anomala; dopo 12 ore insorgono difficoltà di respirazione e aumento del battito cardiaco; dopo 8 ore insorgono complicazioni ai reni che portano al coma e alla morte. Anche per il glicole etilenico è fondamentale la tempestività: se si interviene nel giro di pochissime ore dall’ingestione l’antidoto può fare effetto, salvando l’animale da una morte atroce e dolorosa. Anche qui, la tempestività e l'osservazione fanno la differenza. Anche quella tra la vita e la morte.

 

In ogni caso, bisognerebbe ricordare che, esattamente come i cani, noi siamo ospiti della Terra, e non dovremmo avere diritto di vita e di morte nessuna creatura. Chi uccide per il gusto di uccidere è un assassino, a prescindere che la vittima abbia due o quattro zampe. D’altronde, come amava dire il più rispettoso degli uomini, Mahatma Gandhi, “La civiltà di un popolo si misura dal modo in cui tratta gli animali”. E ricordare una cosa. Gli amici non si uccidono.

 

 

Loredana Colloca