La nomina di Minniti e il patto con Oliverio e Magorno

Il neo ministro lunedì prossimo sarà chiamato a chiudere l’assemblea regionale del Partito. Segnale evidente del rinnovato patto di governo che unirà i tre dopo la sconfitta rimediata dai sostenitori del sì al referendum
12 dicembre 2016
21:55
Marco Minniti e Mario Oliverio
Marco Minniti e Mario Oliverio

Assume contorni sempre più gattopardeschi la crisi di governo innescata dalla clamorosa bocciatura della riforma costituzionale targata Renzi-Boschi.


Una crisi-lampo risolta in un batter d’occhio da Mattarella e Gentiloni e che, di fatto, ha restaurato un governo Renzi bis, ma senza il premier. L’ex presidente del Consiglio dei ministri ha continuato a dire di aver tenuto fede alla sua parola e di aver chiuso gli scatoloni per tornare alla vita da semplice cittadino, anche dalla direzione nazionale del Pd, ma nel frattempo a palazzo Chigi non sembra cambiare nulla.



Il premier incaricato, l’ex ministro degli esteri Paolo Gentiloni, è un uomo fidato dell’ex presidente del Consiglio e può considerarsi un renziano della prima ora. Sono stati confermati la gran parte degli uomini dell’esecutivo precedente, compresi Luca Lotti, che guarda con attenzione alle deleghe ai servizi segreti lasciate sguarnite da Marco Minniti divento ministro dell’Interno, e Maria Elena Boschi. Proprio lei, la ministra delle Riforme, dopo il referendum è stata addirittura avanzata di grado.

 

Dai servizi segreti agli Interni: un calabrese nel governo Gentiloni 


E se è pur vero che il voto sul referendum non era un voto sul governo, come Renzi e i renziani hanno continuato a ripetere anche in direzione, è altrettanto vero che non poteva essere interpretato come un “bravi, continuate così”.


Lo ha provato a dire la sinistra del Pd che tramite il proprio leader Roberto Speranza ha chiesto chiaramente a Renzi di spiegare se c’è spazio nel partito per chi ha votato “no” al referendum. Anche più duro Massimo D’Alema: “così si muore”, mentre Bersani insieme alla sinistra dem ha provveduto a depositare un odg per chiedere discontinuità nell’azione di governo.


Del Pd calabrese, invece, continua a non esserci traccia. Eccezion fatta per Magorno e Oliverio che si sono sperticati di lodi verso Marco Minniti, ministro calabrese all’Interno. Proprio quel Marco Minniti che lunedì prossimo sarà chiamato a chiudere l’assemblea regionale del Pd che il segretario regionale ha convocato per l’analisi del voto.

 

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Segnale evidente del rinnovato patto di governo che unirà i tre, probabilmente ancora di più, dopo la sconfitta rimediata dai sostenitori del sì al referendum.

 

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Se a ciò si aggiunge che Matteo Renzi ha annunciato di non avere nessuna intenzione di dimettersi dalla carica di segretario, ma che spetterà all’assemblea nazionale di domenica prossima stabilire eventualmente, un’anticipazione della data del congresso, si capisce che Magorno possa tornare a dormire sonni tranquilli. Gli basterà legare il suo destino a quello di Renzi e affidare le opposizioni sul territorio a Marco Minniti, per continuare a rimanere in sella. Tanto di sinistra Pd in Calabria si sono perse le tracce. La maionese impazzita del renzismo alla calabrese, dunque, pare essere in grado di conservare ancora l’attuale assetto di potere. Del resto il governo regionale ha troppa necessità di restare collegata a doppio filo a Roma per tutta una serie di ragioni. Non ultima quella relativa alla gestione della sanità.


Riccardo Tripepi

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