Mangialavori (Cdl): 'inaccettabile la chiusura del reparto di fibrosi cistica di Lamezia'

Il consigliere regionale Giuseppe Mangialavori ha inviato una lettera al Commissario, Massimo Scura, per chiedere il mantenimento del reparto di fibrosi cistica dell'ospedale di Lamezia Terme
di Redazione
17 settembre 2015
13:39

In data odierna è stata inviata una lettera al Commissario alla sanità, Massimo Scura, per focalizzare l’attenzione sulla necessità del mantenimento del reparto di Fibrosi cistica operante presso l’ospedale di Lamezia Terme. Attualmente, i medici operanti presso il reparto, unico su scala regionale, sono tre, tutti borsisti e un fisioterapista che però è retribuito dalla Lega italiana fibrosi cistica. A breve (3 ottobre) i contratti dei borsisti avranno termine. In mancanza di un intervento mirato, fatale sarà la regressione dell’offerta sanitaria; un dato, eventualmente, inaccettabile. La patologia, per le gravissime implicazioni mediche e umane e per l’ampia fascia delle persone affette non può lasciare indifferenti. Vale la pena rimarcare, poi, il contenuto del decreto numero 2 del 26 marzo del c.a. emesso dal Commissario. Esso sancisce il principio per cui alcune risorse professionali possono essere reperite in deroga alle procedure ordinarie. Unici requisiti chiesti dal decreto sono: l’infungibilità e l’insostituibilità di dette prestazioni. E ciò al fine di assicurare i livelli essenziali di assistenza sanitaria. Tali requisiti (infungibilità e insostituibilità) sono certamente presenti nel caso di specie, per cui nulla osta a un’acquisizione delle risorse necessarie a garantire piena operatività del reparto. A ciò si aggiunga un altro dato. Il protocollo per la cura sanitaria di tale patologia è disciplinato da un’apposita legge, la numero 48/1993. Tale normativa, fra l’altro, prevede l’utilizzo di personale altamente specializzato. Pertanto, ogni ipotesi di accorpamento con altri reparti si configurerebbe sia professionalmente che giuridicamente inattuabile. Ancora una volta è evidente che il diritto alla salute riconosciuto dall’ordinamento nazionale e internazionale se non trova sbocco nella prassi diventa lettera morta. E se ciò accade la società arretra.

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