INTERVISTA | Magorno il renziano non fa drammi: «Il rinvio del congresso conferma il nostro percorso»

Dopo lo stop arrivato da Roma e il rinvio dell'assise regionale del Pd, il segretario regionale uscente fa il punto della situazione e lancia un messaggio ai naviganti: «Un partito debole non è il miglior viatico e ancora peggio è un partito indebolito volontariamente»
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di Riccardo Tripepi
26 maggio 2018
15:32

Il congresso calabrese del Pd è stato rinviato a data da destinarsi. E’ un bene o un male? Quando si celebrerà adesso l’assise e come sarà traghettato il partito fino a quel momento?

 


«Partirei da una constatazione di merito, ovvero che il partito nazionale ha riconosciuto la bontà dei passi compiuti in Calabria all’indomani della scadenza del mio mandato, con la convocazione dell’assemblea regionale, successivamente della direzione regionale e, infine, con la composizione di una commissione per il congresso, definita -  nella comunicazione firmata dal responsabile organizzativo nazionale, Andrea Rossi – legittima nella forma e nella sostanza. Di fatto sono stati smentiti coloro che in questi mesi hanno parlato di un partito romano all’oscuro, o addirittura contrario, alle vicende calabresi. Il percorso che ho inteso avviare alla scadenza del mio mandato è e resta corretto; al congelamento, al nicchiare ho da subito preferito rimettere ogni decisione agli organi collegiali del partito, che si sono espressi in modo democratico.Detto questo, incrociamo la fase politica forse più delicata e cruciale della storia del Pd e l’esito dell’assemblea nazionale del 19 ha scompaginato il quadro interno, un fatto non neutro anche per i partiti regionali, e quindi anche per la Calabria, dove resta in vita con il pieno delle sue funzioni la Commissione per il congresso, che proseguirà la sua attività nella stesura del regolamento congressuale e nell’organizzazione dell’attività politica».

 

Un partito debole potrebbe creare difficoltà a Oliverio nella fase finale della legislatura. In Consiglio spesso manca il numero legale e la maggioranza traballa. Eppure ormai manca poco alle prossime regionali…

 

«Un partito debole non è il miglior viatico ed ancora peggio è un partito indebolito volontariamente da chi non è ancora consapevole del periodo, del contesto nel quale siamo immersi. Ciò che è accaduto alle regionali della Valle d’Aosta dovrebbe essere un monito: stiamo camminando su un bordo vertiginoso e mi auguro che di questo ci sia un’autentica presa di coscienza che spinga tutti, dentro e fuori le istituzioni, a comportamenti responsabili».

 

 

La crisi del Pd però non è solo calabrese. Il risultato del 4 marzo è stato un colpo pesante a tutti i livelli. Il partito non sembra in grado di rialzarsi. Come si ricomincia?

 

«A mio avviso attraverso una discussione senza tatticismi e logiche autoassolutorie. Nessuno può dirsi esente dal risultato del 4 marzo, nessuno può girarsi dall’altra parte. Se, ognuno di noi sarà in grado di approcciare al dibattito con sincero e disinteressato senso costruttivo, allora possiamo sperare in un nuovo futuro per il centrosinistra, e non solo per il Pd. Oggi il tema è la sfida tra populismo e riformismo, fra demagogia e progressismo, ricercando anche diverse forme organizzative, di comunicazione interna ed esterna. Occorre ripensare il modello partito, aggiornarlo, ripensarlo alla luce di quanto accaduto, senza paura di voltare pagina. Non è vero che la sinistra è scomparsa, ci sarà sempre bisogno di sinistra: occorre selezionare nuovi temi e attorno ad essi aggregare. Credo, inoltre, che quanto accaduto il 4 marzo debba indurre tutti noi, nessuno escluso, a un approccio diverso anche nelle politiche istituzionali. I Governi uscenti hanno evidentemente lavorato bene, in condizioni di contesto e interne al Parlamento assai difficili. Sono state approvate leggi molto importanti, ma non è detto che l’aumento del Pil non possa convivere con forme di disuguaglianza e di disagio, che non si è stati in grado di leggere per tempo e governare. Non è detto che la crescita economica non possa convivere con un crescente malessere sociale e con un divario insopportabile fra Nord e Sud».

 

 

Il cambio dell’ordine del giorno all’ultima Assemblea nazionale ha fatto arrabbiare parecchi iscritti. E’ stato giusto rinviare la discussione sul congresso nazionale e la formalizzazione delle dimissioni di Renzi? I calabresi sul punto hanno espresso posizioni variegate…

 

«L’assemblea nazionale del 19 è stato un momento molto duro per la vita del Pd, la discussione è stata in parte falsata perché molti  si sono avvitati in una logica correntizia e di contrapposizione personalizzata, in particolar modo contro Renzi. I componenti calabresi si sono espressi in scienza e coscienza, ognuno secondo il proprio convincimento: con la nascita del nuovo Governo – però – siamo entrati in un’altra fase ed è urgente raccogliere forze e idee per dispiegare al meglio la nostra azione di opposizione».

 

 

Che si aspetta dalla prossima Assemblea nazionale? Martina è l’uomo giusto per fare il segretario?

«Il punto di caduta di ogni ragionamento è il progetto che vogliamo mettere al centro della nostra azione politica: con quali mondi intendiamo confrontarci? Come possiamo recuperare il voto di molti elettori nostri che il 4 marzo hanno optato per il Movimento 5stelle? Come ci collochiamo nel grande dibattito sulla crisi della sinistra, e in particolar modo quella europea, del vecchio mondo? Quale modello di partito vogliamo adottare, superando le categorie e le forme organizzative che finora ci siamo dati e che appartengono al secolo scorso, per ricercarne di nuove, meno settarie e più aperte e accessibili? Partirei da queste risposte piuttosto che da qualunque referendum di gradimento sui nomi».

 

 

Il renzismo è finito?

 

«Renzi, che io continuerò sempre a sostenere, dopo il 4 marzo si è fatto da parte, dimostrando ancora una volta lucidità e un autentico senso di appartenenza al partito. Oggi lo ritroviamo ancora sotto il fuoco incrociato degli attacchi - e questo accanimento  ha già causato innumerevoli danni in ultimo alle elezioni politiche e in generale nella proiezione  del partito all'esterno,  percepito come una forza litigiosa e divisa -  perché è l’unico leader vero del partito e del centrosinistra e ritengo che qualunque ragionamento sul futuro non possa prescindere da lui».

 

 

In Parlamento che aria tira? Il nascente nuovo governo come lo giudica?

 

«Il Parlamento per più di 80 giorni è stato bloccato dal teatrino messo in scena da Salvini e Di Maio. Oggi, con l’investitura a Conte entriamo in una fase nuova e a tratti ancora più paradossale di quella precedente. Giudico vergognoso l'attacco volgare e senza precedenti in atto su Mattarella perpetrato da Salvini e Di Maio per la nomina a ministro di Savona. Hanno vinto le elezioni ma si muovono come due divinità scese in terra, a cui tutto è dovuto, incuranti perfino della Costituzione, che al referendum hanno difeso salvo oggi giudicarla carta straccia».

Riccardo Tripepi

 

Giornalista
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