Il commento

La “magnifica” pastetta dell’Università: mi manda Picone

Al di là della materia investigativa stricto sensu, la storia - di suo - non è inedita. Certo, non tutti i raccomandati sono scarsi e degni dello stigma sgarbiano di "capra". Tuttavia, se hai bisogno di "amorevole" patrocinio, non devi somigliare propriamente a una cima (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Antonella Grippo
24 aprile 2022
10:12

Associazione a delinquere, concussione, corruzione, abuso d'ufficio, falsità ideologica, peculato e turbata libertà della scelta del contraente. Questi i reati di cui consta l'architrave accusatorio dell'inchiesta Magnifica e che investe l'Università Mediterranea di Reggio Calabria. Secondo i magistrati inquirenti, l'Ateneo sarebbe stato governato in nome e per conto di interessi privati. L'ipotesi, che dovrà essere comprovata da solidi elementi probanti, riguarda presunti metodi clientelari posti in essere dagli indagati per pompare carriere accademiche non sempre suffragate dal merito e dalle competenze.

Il disegno avrebbe contemplato la manipolazione di concorsi e prove d'esame, volta ad alterarne l'esito a vantaggio di persone designate dentro un reticolo di relazioni privilegiate.  Al di là della materia investigativa stricto sensu, la storia - di suo - non è inedita: riguarda l'antico e perverso costume della pastetta. Categoria dello Spirito mai dismessa o rinnegata da certa Italiuccia arraffona, che - da tempo immemore- fonda sul primato antropologico del Cliente. Tipologia, questa, che descrive l'ammanicato. Il protetto. Il piccolo borseggiatore di talenti altrui.


Certo, non tutti i raccomandati sono scarsi e degni dello stigma sgarbiano di "capra". Alcuni vantano eccelse qualità. Tuttavia, se hai bisogno di "amorevole" patrocinio, non devi somigliare propriamente a una cima. Nel caso di specie, trattandosi di Università e di Saperi, l'impressione è che "l'intellettuale organico" di gramsciana memoria sia stato sostituito dall'intellettuale agonico. Quest'ultimo - infatti - pur non sapendo una mazza di Parmenide o di Kant, grava - talvolta - come peso morto presso le gerarchie accademiche, in qualità di fedele compariello. D'altro canto, la mezza pippa promossa sul campo, a differenza del talentuoso, detiene una sorta di santità analfabetica che lo preserva da ogni tentazione "illuministica."

Non è un caso che Carmelo Bene amasse dire: «Al mediocre è concessa la grazia dello stupore come trip mistico. Solo chi non detiene il guizzo, può esperire Dio perché in grado di innocenza primigenia».  Ergo, a tutti gli altri, sospettati di fulgore intellettivo, non resta che declinare esistenze tristissime, senza la botta di vita di una qualche consuetudine con il Padreterno. La calzetta media, insomma, è da annoverarsi tra gli indizi più attendibili del Sacro. Tanto è vero che viene celebrata in ogni dove. Dal giornalismo all'arte figurativa. Dalla musica al  teatro. Dalla letteratura al cinema. Al contrario, il talento, per sopravvivere e non lasciarsi sgamare, è costretto a vivere in clandestinità. A meno che, per far carriera, tu non dimostri di saper firmare solo e soltanto con la croce prescolare, unica prova inoppugnabile della tua impermeabilità a qualsivoglia emancipante apprendimento.

Il Sapere come strumento di crescita delle genti calabre? No. Il Sapere come inutile pennacchio che fa molto figo in provincia. Scientia potentia est? Non nel senso a cui pensava  Bacone. Semmai, nel senso dell'esercizio di un potere "microfisico"(Foucault dixit) che soccorre la "gleba" accademica e che da questa ricava consenso a buon mercato. Nel migliore dei casi, si profila una sorta di mezzadria.

C'è di più: l'inchiesta della Procura di Reggio Calabria corrode la mistica della superiorità etica del cosiddetto Paese Reale nei confronti della  Politica. Sventra, laddove occorresse ulteriormente, l'ormai flebile luogo comune, secondo cui noi "cittadini" saremmo migliori della umanità "immonda e riprovevole" che abita i partiti, i governi o le istituzioni rappresentative. La mistica è invalsa da decenni presso i cultori del " civismo" a tutti i costi e dei detrattori dei professionisti del Palazzo. Fatto sta che, sovente, la società civile, della quale si decantano virtù e illibatezze, consta di baroni, docenti, affiliati amministrativi, uomini di fatica, elettricisti, fuochisti e addetti alla Kultura.

Il malfattore fesso che è dentro di noi, dunque, non tema confronti: può surclassare agevolmente consiglieri regionali, parlamentari et similia, nella sublime arte della pastetta. Per questo, la superiorità morale del Paese reale non può postularsi, essendo resistita dalla cronaca e da innumerevoli fattispecie. E, soprattutto, dalla specularità che ci fa identici a coloro che eleggiamo perché ci rappresentino. Siamo uomini, caporali, sottotenenti, truffatori o contrabbandieri di improbabili purezze? Forse, più banalmente, clienti. Delle nostre indolenze. Delle nostre compiaciute negligenze.  Prima ancora che del baroncello universitario, dell'assessore regionale  o del capobastone di partito. Siamo quel "mi manda Picone", che ci chiama in correità anche quando fingiamo indignazione solo contro i "furfanti"  della Camera, del Senato o del Consiglio comunale. D'altro canto, Picone è-contestualmente- se stesso e il suo contrario. Impostore e candido. Onestamente malandrino. Pudicamente malfattore. E dall'esistere vagamente presunto. Nonostante lo si tiri sempre in ballo, nessuno l'ha mai visto. Picone è il nostro immaginario d'occasione. Se ti volti a guardarlo, non lo trovi più.        

Giornalista
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