Crisi, la partita in mano a dilettanti allo sbaraglio e alle convenienze dei capi bastone

Come avrebbe detto il divin Giulio, la rimessa in gioco tocca all’arbitro. Nel nostro sistema istituzionale è il presidente della Repubblica. E sul Colle più alto non risiede un’interventista come Giorgio Napolitano, nè un picconatore come Francesco Cossiga, nè un movimentista come Sandro Pertini. C’è Sergio Mattarella, un morigerato notaio democristiano, uomo politico che si è formato nella gestione delle crisi della prima Repubblica

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di Pasquale Motta
15 agosto 2019
12:12

In una delle tante crisi di governo di una calda estate della prima Repubblica, un giovane cronista, rivolgendosi all’eterno Giulio Andreotti all’uscita di Palazzo Chigi domandò: «Presidente presidente quali sono le prospettive di questa crisi?». Andreotti lo guardò quasi con tenerezza e rispose: «Figliolo il pallone è appena finito fuori gioco e tu vuoi già sapere come finirà la partita? Aspettiamo che l’arbitro fischi la rimessa in gioco, e poi vedremo chi sarà in grado di segnare». Ah, che nostalgia la prudenza, l’astuzia e la sottile ironia del grande Giulio. Matteo Salvini, invece di studiare strategie militari avrebbe fatto bene a leggere erileggere almeno due o tre biografie del divin Giulio. Forse avrebbe evitato di incorrere in qualche errore che potrebbe risultargli fatale. Intanto, per ora, è stato costretto ad abbozzare e ha difficoltà ad uscire dal vicolo cieco in cui si è cacciato. Insomma, il Capitano ha portato la nave in secca, per scarsa conoscenza delle mappe di navigazione. Evidentemente aveva immaginato che la crisi come una guerra lampo che lo avrebbe portato velocemente alle elezioni. E, invece, il capitano ha sottovalutato alcuni fattori che potrebbero impantanarlo.

 


Il leader della Lega, per tutta la durata del governo giallo-verde, non aveva sbagliato un colpo. E i risultati sono tangibili: M5s dimezzato e Lega raddoppiata. Tuttavia il parlamento attuale non è stato determinato dalle elezioni europee e dai sondaggi, ma dal risultato del voto del 5 marzo del 2018. In questo parlamento la maggioranza relativa è detenuta dai grillini, mentre la lega ha la stessa forza del Pd. Salvini, alla prudenza andreottiana ha preferito la strategia della guerra lampo. La storia delle guerre lampo, anche nelle strategie militari, avrebbe dovuto però consigliargli passo felpato e prudenza. Gli Stati Uniti erano convinti che in Vietnam sarebbe stata una passeggiata e, invece, si impantanarono sfiancati dalla resistenza dei vietnamiti. Formalmente non persero la guerra ma furono costretti a ritirarsi. Qualche anno dopo la stessa sorte toccò ai sovietici in Afganistan. Anche Mussolini attaccò la Francia pensando che tutto si risolvesse con una guerra lampo, sappiamo come andò a finire. Spesso la forza o il consenso elettorale non bastano per dominare la partita politica.

 

In questa crisi di governo ci sono tutti i fattori che potrebbero trasformarla in un mezzo disastro per la leadership salviniana. Matteo Salvini non ha tenuto in conto alcuni fattori. Primo fattore. La paura delle elezioni ha terrorizzato almeno duecento parlamentari. La maggioranza relativa è detenuta sostanzialmente dai perdenti poltrona. Tra questi oltre il 50% dei grillini, e poi ci sono i parlamentari renziani e quelli delle forze minori. Una forza che in una Repubblica parlamentare è in grado di dettare l’agenda di questa crisi di governo ferragostana. Secondo fattore. Il linguaggio di Salvini. L’infelice battuta, “datemi pieni poteri” pronunciata di fronte alla folla di uno dei tanti comizi, ha messo in fibrillazione diversi altri poteri dello Stato. In una democrazia liberale non si chiede al popolo pieni poteri. Questo linguaggio ha fatto storcere il naso a molti. Rino Formica, socialista e testa d’uovo della prima Repubblica,per esempio, ha sostenuto che a furia di stressare e forzare regole e prassi costituzionali si rischia la guerra civile. Terzo fattore. La crescente ostilità della Chiesa cattolica. La preghiera alle Beata Vergine o il bacio del Rosario ad ogni comizio, il radicalismo sul soccorso in mare,  sono stati il punto definitivo di rottura,  di un rapporto sempre più difficile con le gerarchie clericali. Magari la Chiesa di oggi non avrà più la forza elettorale degli anni  ‘50, tuttavia,  continua ad influenzare pesantemente uomini e poteri dello Stato. Quarto fattore. L’ostilità dell’Europa. A Bruxelles, il leader della Lega ha sempre più nemici. E oggi, la si può girare come si vuole, le istituzioni europee pesano sulle istituzioni dei singoli paesi. E, d’altronde, a parte le barzellette gradite agli italiani, molto più attenti alla rappresentazione mediatica che alla verità, nelle quali si racconta la favoletta che spezzeremo le reni all’Europa cattiva, sappiamo bene, che il paese più indebitato d’Europa non è in grado di impressionare nessuno dalle parti di Strasburgo. La voce grossa di Salvini potrà anche influenzare le valli nostrane,  ma oltre la Val Seriana o Brembana,  rischiamo seriamente di essere presi a pesci in faccia. A ciò si aggiunga che la posizione sovranista, alle elezioni europee, è stata sconfitta in tutta Europa e Salvini si ritrova isolato insieme alla signora Le Pen, che a ben vedere, non è proprio il massimo come compagna di viaggio. Tutti questi fattori, finiranno per aver un peso sulla soluzione di questa crisi e potrebbero portare al varo di un governo tra il M5s e il Pd.

 

E ciò, nonostante la figura da armata Brancaleone del Pd, che vede il solito Renzi, fino ad oggi impegnato ad armeggiare per preparare una scissione e magari dare vita ad una nuova ditta con la Carfagna e la benedizione di Silvio Berlusconi, il quale, terrorizzato dal repulisti Zingarettiano che potrebbe fare razzia dei suoi fedelissimi, con una inusuale conferenza stampa ha sgombrato mesi e mesi di veti contro i grillini auspicando un governo tra il movimento e il Pd.

 

Tuttavia, come avrebbe detto il divin Giulio, la rimessa in gioco tocca all’arbitro. E nel nostro sistema istituzionale, l’arbitro è il presidente della Repubblica. E sul Colle più alto non risiede un’interventista come Giorgio Napolitano, nè un picconatore come Francesco Cossiga, nè un movimentista come Sandro Pertini. Sul Colle del Quirinale c’è Sergio Mattarella un morigerato notaio democristiano, uomo politico che si è formato nella gestione delle crisi della prima Repubblica. La prima mossa toccherà a lui, sarà in quel momento che inizierà la vera partita e, forse, potremo riuscire ad intravedere le prospettive finali. Una cosa è certa, Salvini ha aperto la crisi senza avere in mano gli strumenti politici per governarla. Un errore tattico che in una democrazia parlamentare un politico accorto non avrebbe dovuto fare. Andreotti, Craxi, Moro, De Gasperi, dall’altro mondo,  avranno sussurrato: dilettanti allo sbaraglio. Comunque vada, il pasticcio, più che in mano ai partiti rischia di essere in mano agli opportunismi e alle convenienze dei singoli capi bastone.

 

Pasquale Motta

Giornalista
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