Dalla Sila all’Ecuador, la brillante carriera del giovane direttore finanziario Giuseppe Arnone: «Qui la mia vita è cambiata ma la Calabria resta casa»
Il professionista racconta la sua crescita professionale lontano dalla propria terra: «Quando sono arrivato, l’azienda contava appena dieci dipendenti e il fatturato era quasi inesistente. Oggi siamo più di 150 persone e generiamo oltre 500 milioni di dollari di ricavi. Tornare indietro? Mai dire mai»
Giuseppe Arnone, 31 anni, è un silano. Partito giovanissimo, oggi è direttore finanziario a Guayaquil, in Ecuador. Una bella responsabilità in un Paese lontano e complicato.
«Lavoro per una multinazionale svizzera. Ero da un anno a Singapore, occupandomi di Business Development, quando mi è stata proposta, inaspettatamente, la possibilità di partecipare allo sviluppo del business in Ecuador. Inizialmente il progetto doveva durare sei mesi. Mi sono trasferito qui a febbraio 2020, ma quasi tutto il mio incarico si è svolto in lockdown a causa della pandemia. Al termine del progetto, sentivo di non aver completato quanto speravo, così ho richiesto un’estensione. Ora sono passati cinque anni da quando vivo in Ecuador».
La tua è un’azienda importante che ti ha permesso in pochi anni di raggiungere notevoli traguardi.
«Questi anni mi hanno regalato grandi soddisfazioni professionali e mi hanno permesso di crescere rapidamente. Anche dal punto di vista personale, la mia vita è cambiata profondamente: sono arrivato da solo, e oggi siamo in tre. Qui ho conosciuto mia moglie Samira, e quasi due anni fa è nata nostra figlia Arya».
La vita in un paese come l’Ecuador non è certamente facile. Anche per te che hai dovuto affrontare momenti delicati.
«Nei primi due o tre anni in Ecuador, la situazione era piuttosto tranquilla, e viaggiare era facile e sicuro. Tuttavia, negli ultimi due anni le cose sono peggiorate, costringendoci a prendere misure straordinarie. Ora viviamo quasi esclusivamente nella nostra area residenziale. Fortunatamente, non ho avuto esperienze personali negative. Sul piano lavorativo, però, ho dovuto gestire un paio di furti e persino il sequestro di un nostro collaboratore».
La Calabria è lontana…
«Sí, ma non mi sento completamente estraneo. Mi tengo in contatto con la mia famiglia ogni giorno e seguo con interesse le vicende locali. Inoltre, torno categoricamente in Italia tre o quattro settimane all’anno. La mia impressione è che l’Italia stia attraversando un momento difficile, e la Calabria, con lo spopolamento in atto, fatica ancora di più a svilupparsi. Tuttavia, l’unico settore in cui noto miglioramenti è il turismo estivo. La costa tirrenica sta crescendo bene, e credo che con il tempo anche quella ionica possa raggiungere lo stesso livello di sviluppo».
La Calabria avrebbe bisogno di molte cose.
«Credo che lo sviluppo della Calabria non sia facile, ma neppure impossibile. La regione dispone di risorse naturali e umane straordinarie. Bisognerebbe puntare su una pianificazione a medio-lungo termine che si concentri su tre aree principali».
Vediamo concretamente a tuo parere su cosa bisognerebbe concentrarsi.
«Incrementare il turismo extra-estivo: La Calabria potrebbe diventare una delle capitali europee degli sport estremi, sia di mare che di montagna, come mountain bike, base jumping, downhill, wakeboard, surf e rafting. Attrarre investimenti industriali: bisognerebbe sfruttare la posizione geografica strategica della Calabria e il costo del lavoro inferiore rispetto al Nord Italia per attrarre investimenti da aziende interessate sia al Made in Italy sia ai mercati del Nord Africa e del Medio Oriente».
Ci sarebbe da sviluppare il settore agricolo.
«La Calabria è già la terza regione italiana per numero di aziende agricole, ma è necessario consolidare il settore per rendere i produttori più competitivi e aumentarne la produttività. Inoltre, i cambiamenti climatici offrono nuove opportunità di coltivazione, come l’avocado e altre colture tropicali».
In questo momento continua una forte emigrazione verso il nord e verso altri paesi.
«Purtroppo, non se ne vanno solo coloro che ambiscono a qualcosa di più, ma anche chi vorrebbe restare è spesso costretto a partire. Questa è forse la parte più triste: nessuno dovrebbe essere obbligato a lasciare la propria casa. Tuttavia, un aspetto positivo è che abbiamo calabresi in tutto il mondo che realizzano cose straordinarie. Sarebbe importante riuscire a valorizzare le loro competenze, le connessioni e magari anche i loro capitali, per avviare una crescita capace di rallentare o invertire il fenomeno dello spopolamento. Molti di noi sentono il desiderio di restituire qualcosa alla propria terra».
Giuseppe Arnone, ha pensato mai che un giorno potrebbe tornare in Calabria?
«Perché no? Se si creassero le condizioni giuste, sarebbe bellissimo tornare».
L’Italia vista da lontano.
«L’Italia sarà sempre casa. Abbiamo una cultura unica e, da un punto di vista umano, siamo avanti anni luce rispetto a molti altri paesi. I nostri valori sono forti e credo che abbiamo una naturale predisposizione alla leadership»