Armi antiche e moderne: è calabrese l'esperto conteso da musei e tribunali

INTERVISTA - VIDEO | Il perito balistico cosentino Cesare Tenuta è considerato uno dei più affidabili e competenti a livello nazionale. «Prima dell’Unità d’Italia, solo gli artigiani inglesi erano alla nostra altezza»

di Monica La Torre
29 marzo 2019
14:55

«La Calabria è stata la seconda culla delle armi europee, subito dopo l’Inghilterra. Gli artigiani calabresi, dopo l’unità d’Italia, sono stati deportati In Lombardia. Uomini, mezzi, saperi. Si è perso tutto. Avevamo i cannonieri più bravi d’Europa. Partiti anche loro, insieme ai macchinari, quelli in uso nelle Ferriere di Mongiana – Mammola: tutti al Nord. Chi ha potuto, è scappato in Belgio, a Linz, patria dell’acciaio. Chi non ce l’ha fatta, è stato costretto a seguire i Savoia. Dopo l’Unità, il nuovo governo ha chiuso le attività manifatturiere calabresi, trasferendole al Nord. E così da noi la meccanica fine, antica e nobile, è del tutto scomparsa».

 


Il super esperto

A parlare con tanta amarezza è Cesare Tenuta, perito balistico cosentino, considerato uno dei più affidabili protagonisti italiani della cultura delle armi. Uno dei pochi a livello nazionale, e soprattutto l’unico in Calabria, ad unire l’iscrizione all’albo dei periti balistici alla profonda conoscenza delle armi antiche, e passando dal titolo di campione regionale di tiro al volo alla passione per la caccia. Laddove le sue perizie sono richieste da avvocati e magistrati dalle Alpi alla Sicilia, e sono state fondamentali, in passato, anche per scagionare imputati accusati ingiustamente d’omicidi e altri illeciti, le sue valutazioni sono punto di riferimento per i più grandi collezionisti italiani, europei, oltreché per case d’aste inglesi ed austriache.

 

Una tradizione borbonica

L’ expertise è uno degli ultimi portavoce della cultura che ha visto nella Calabria borbonica del Settecento la seconda culla europea, dopo l’Inghilterra, della produzione di cannoni e fucili. Gli addetti ai lavori gli riconoscono amore per la materia, rispetto, onestà e affidabilità, tanto nelle perizie quanto nelle valutazioni. La sua collezione, se non tra le più importanti, è certamente tra le più eleganti. I suoi cimeli raccontano quel mix ormai perduto tra arte, artigianato, meccanica, lavorazione dei metalli ed intarsio, che tanta parte ha avuto nella fabbricazione delle armi calabresi, e nei commerci borbonici da e verso l’Europa. «Qualche volta mi sento come uno degli ultimi testimoni di un’arte che s’è perduta –racconta-. Cerco di trasmettere questa cultura antica ormai dimenticata: ed al tempo stesso, questa mia passione, e l’amore per le nostre tradizioni, viene percepito anche da chi si rivolge a me, per una perizia o una valutazione».


Come si diventa periti balistici?
«Io ho studiato viaggiando per tutta l’Europa, facendo la spola tra le fabbriche d’armi in Inghilterra, in Germania, in Italia. Ancora oggi, mi muovo tre o quattro volte l’anno. Osservo i processi produttivi, studio i brevetti laddove sono nati e sono stati sviluppati, direttamente alla fonte. Sono iscritto all’ordine professionale dei periti, e mi muovo tra gli studi legali ed i tribunali di tutta Italia. È una materia tanto difficile quanto affascinante. E soprattutto, se fatta con rigore ed onestà intellettuale, è fonte di enorme soddisfazione».


Quando ha sviluppato questa passione?
«La mia è una famiglia di cacciatori. Sono sempre andato a caccia con mio padre, e devo dire che sin da bambino, più che la selvaggina, era l’arma, il fucile ad emozionarmi. Lo sparo, le cartucce, il funzionamento. Crescendo, ho avuto modo di capire quanto, accanto alla parte meccanica, fosse meravigliosa la componente storica, artistica, e di altissimo artigianato. Ho iniziato ad amare i fucili antichi e preziosi sin da ragazzo, ricordo ancora le mani tra i capelli, in senso bonario, di mio padre, quando acquistai il primo fucile da collezione: ero giovanissimo, e già disposto ad investire risorse importanti».


Lei lamenta la perdita della tradizione balistica regionale. Come si è perso questo patrimonio?
«La Calabria aveva una tradizione unica, seconda solo a quella inglese.  I cannonieri calabresi, gli artigiani addetti alla fabbricazione delle canne dei fucili, erano i più bravi d’Europa. Le armi per la Real Casa dei Borbone erano costruite qui, tra Mongiana e Mammola. Le famose Ferriere erano fabbriche talmente avanzate, da avere la ferrovia che entrava direttamente dentro le fonderie dove venivano costruiti i cannoni».

Che accadde dopo l’Unità?
«La realtà produttiva era di due tipi: c’erano realtà familiari, piccole produzioni di nicchia e di lusso, come nel cosentino, e c’erano le grandi fabbriche. A mettere fine a tutto il settore, ci pensarono i Savoia. I siti chiusi, operai e i macchinari trasferiti al nord. Le fabbriche di armi attuali, quelle che oggi celebri in tutto il mondo, sono nate grazie alle nostre tecnologie ed ai nostri operai specializzati. Sono territori che vantano culture che non gli appartengono. Noi, con la perdita delle risorse economiche, la chiusura delle arterie commerciali, non abbiamo potuto fare altro che fuggire. E tutto si è perso. Resiste solo qualche artigiano a Terranova da Sibari, maestro nella riparazione di fucili di pregio».


Come si diventa collezionista?
«Comprare è un’esperienza di vita. io nasco collezionista. Ripeto, ho acquistato la prima arma importante a 18 anni, ma sin dalla prima adolescenza, con l’aiuto di mio padre, mi dedicavo a questa passione. Per questo è stato naturale diventare consulente di collezionisti importanti, dai marchesi toscani alle aste internazionali. Sul campo, invece, ho concretizzato questa attrazione iniziando a sparare, a praticare il tiro al volo. In questa disciplina, ho vinto il campionato regionale di prima categoria, sono istruttore e dirigente sportivo nazionale e giudice di gara. Condivido la pratica con gli amici che riunisco in una piccola società sportiva, di cui sono vice presidente (all’interno della quale milita anche lo chef Michele Rizzo, ndr)».


Come vive nel quotidiano la sua passione?
«Posso dire che della mia passione ho fatto una professione, una regola di vita. Spero che qualcuno dei miei figli segua queste orme. Mia figlia, seppure adolescente, è già una tiratrice, iscritta ai campionati, e membro della società sportiva. In famiglia, sappiamo tutti che una cultura positiva e sportiva delle armi è anche cultura di vita».

 

Giornalista
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