Don Panizza: ‘Il mio sogno è vivere in una regione giusta’

Don Panizza, il prete di Lamezia Terme che ha fondato la ‘Progetto sud’ presenta il suo ultimo libro
di redazione
5 novembre 2014
11:10

“Noi preti abbiamo centomila cose da fare per predicare l’amore e costruire la pace e la giustizia. Poi se c’è anche da resistere ai mafiosi, dobbiamo resistere. Anche se è meglio che si convertano. Noi preghiamo perché cambino. E facciamo di tutto perché cambino.” È un uomo di pace minacciato di morte, don Giacomo Panizza, il prete di Lamezia Terme che da anni porta avanti la sua battaglia contro le cosche della ‘ndrangheta , ma respinge l’appellativo di “prete antimafia“.


“Venti giorni fa ci hanno messo un’altra bomba, dichiara il prete in un intervista rilasciata all’ Avvenire, i giornalisti hanno scritto “prete antimafia” ma, in questa veste non mi ci trovo. Io mi trovo con la gente dove costruiamo la vita buona, la libertà, un po’ di sviluppo, quelle cose che ci servono al Sud”.



Progetto Sud - In Calabria da 30 anni, Don Giacomo Panizza, bresciano, ha fondato nel 1976 a Lamezia Terme “Progetto sud”, una comunità autogestita insieme a persone con disabilità e contribuisce a diverse iniziative della Caritas italiana e dalla Calabria. Il prete è nel mirino delle cosche dal 2002, quando spezzò il cerchio della paura prendendo in gestione il palazzo confiscato ad una cosca dei Torcasio, potente clan del lametino. Lo stabile dista pochi km dalla famiglia in cui abitano i mafiosi.


Le minacce non sono mai cessate, racconta Don Panizza, ma sono sempre più insistenti. I mafiosi mettono bombe, bucano le gomme, sono arrivati al punto di manomettere la vettura di un disabile. Insomma, fanno di tutto per frenare l’opera del prete. Don Panizza, dal 2002, è sottoposto ad un programma di protezione. Alla domanda se avesse mai avuto paura, Don panizza risponde che questa emozione l’ha provata quando è stata l’anziana donna del clan Torcasio a minacciarlo “Molta paura, dichiara il parroco, mi hanno insegnato che sono le donne a dire ai giovani cosa fare, perché bisogna vendicarsi, che fanno perpetuare la mafiosità della famiglia. Mentre i figli mi dicevano che mi uccidevano io quasi non prestavo attenzione, invece la tremarella mi è venuta quando lei, da vera capo clan, ha pronunciato la sentenza. E infatti da allora mi hanno messo sotto tutela”.


Ma non si spaventa, Don Panizza, e va per la sua strada. Il suo impegno lo racconta nel suo nuovo libro La mafia sul collo. L’impegno della Chiesa per la legalità nel nostro Paese (Edizioni Dehoniane Bologna) nei prossimi giorni in libreria. «È un libro sulla Pastorale della legalità, un libro di Chiesa. Per parlare a sacerdoti, catechisti, persone di Chiesa che educano, per avere dei punti solidi su questo argomento».

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