Trattativa Stato-Mafia: al processo deporranno anche “pentiti” calabresi

La Corte d'appello di Palermo riapre l'istruttoria. Ammesse le testimonianze di Cuzzola, Pace e Palmeri, già sentiti per “'Ndrangheta stragista”

di Redazione
2 marzo 2020
18:27

Al processo d’appello sulla cosiddetta trattativa tra Stato e mafia oggi, al termine di una lunga camera di consiglio, la Corte d'assise d'appello di Palermo ha sciolto la riserva aprendo nuovamente l’istruttoria dibattimentale.

Il collegio – presidente Angelo Pellino, giudice a latere Vittorio Anania – ha infatti ammesso le richieste di nuovi testimoni e acquisizioni documentali.


Ammesse anche le deposizioni dei collaboratori Antonino Cuzzola, Salvatore Pace e Armando Palmeri, i primi tre già sentiti a Reggio Calabria nel processo alla ‘ndrangheta stragista mentre Palmeri dovrà riferire sui presunti legami tra alcuni esponenti dei servizi segreti e ambienti mafiosi.

In che veste saranno sentiti

In che veste “sentire” i collaboratori sarà deciso nella prossima udienza, prevista per il 16 marzo, per consentire alle parti di potermi esprimere. Secondo l’ordinanza della Corte di assise di appello di Palermo dovranno essere sentiti anche, tra gli altri, l'ex capocentro del Sisde Maurizio Navarra e l'ex tenente Franco Battaglini, autore della nota riservata secondo cui il boss corleonese avrebbe avuto un cellulare nella sua disponibilità in cella, a Rebibbia, subito dopo il suo arresto, avvenuto il 15 gennaio 1993. E verrà pure acquisito il fascicolo dell’indagine – aperta e chiusa con una archiviazione – su questo fatto.

Il suicidio di Gioè e il suo testamento

La Corte ha ammesso anche gli atti d’inchiesta sul suicidio in carcere del boss mafioso Antonino Gioè e la lettera testamento che lasciò – e che provocò i commenti dell’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino e del consigliere giuridico del Quirinale, Loris D’Ambrosio – e i suoi presunti legami con Paolo Bellini, uomo di estrema destra e presunto protagonista di una sorta di trattativa parallela tra mafia ed esponenti dei carabinieri finalizzata al recupero delle opere artistiche rubate.

Cosa aveva deciso la Corte d'assise

La Corte di assise, nell’aprile 2018, aveva condannato a 28 anni il boss Leoluca Bagarella, a 12 di l’ex senatore Marcello Dell’Utri e gli ex carabinieri del Ros Mario Mori e Antonio Subranni; stessa pena per Antonino Cinà, medico e fedelissimo di Totò Riina; 8 anni di reclusione per l'ex capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno. La posizione di Massimo Ciancimino (condannato a 8 anni per calunnia) è stata stralciata e sarà discussa in una apposita udienza, in programma il 16 aprile.

Nelle precedenti udienze i legali di Ciancimino – Roberto D’Agostino e Claudia La Barbera – avevano chiesto sentenza di non luogo a procedere «per intervenuta prescrizione, secondo i nostri calcoli, già prima della pronuncia della sentenza di primo grado».

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