Trattativa Stato-mafia: un processo che ha segnato la Storia - VIDEO

Condanne esemplari per imputati eccellenti. La Corte d'Assise di Palermo certifica l'esistenza del patto fra pezzi di Stato e Cosa nostra. Ecco i possibili riflessi anche nei processi in corso a Reggio Calabria
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di Consolato Minniti
20 aprile 2018
18:55
Leoluca Bagarella
Leoluca Bagarella

È una sentenza destinata a riscrivere la storia degli ultimi trent’anni, quella emessa poche ore fa dalla Corte d’Assise di Palermo. Adesso c’è una prima verità giudiziaria: la trattativa fra Stato e mafia, nei primi anni novanta, ci fu eccome. È per questa ragione che i giudici hanno condannato gli ex generali dei carabinieri, Mario Mori e Antonio Subranni, a dodici anni di reclusione. Otto per l’ex senatore Marcello Dell’Utri, così come per l’ex colonnello Giuseppe De Donno e per Massimo Ciancimino accusato di calunnia, ma assolto dal reato di concorso esterno. Condanna pesantissima per il boss Leoluca Bagarella: 28 anni di prigione. Assolto, invece, l’ex ministro Nicola Mancino, che doveva rispondere di falsa testimonianza.

 


Per gli altri imputati, invece, l’accusa è di concorso in minaccia a un corpo politico dello Stato. Quella minaccia che Cosa nostra avviò con la stagione stragista del 1992, con gli attentati a Giovanni Falcone prima e Paolo Borsellino poi, e proseguita ancora con le bombe di Roma, Milano e Firenze. Proprio in quel momento, nel pieno della strategia stragista, gli uomini dello Stato trattarono con i vertici di Cosa nostra per bloccare quell’escalation di terrore, finendo però per divenire dei messaggeri dei boss.

 

Furono due le trattative secondo la Dda di Palermo: la prima fra i carabinieri del Ros e l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, che consegnò il famoso “papello” con le richieste di Totò Riina per fermare le stragi. La seconda, dopo l’arresto del capo dei capi, avviata con Bernardo Provenzano e Marcello Dell’Utri, ritenuto la cinghia di trasmissione del messaggio mafioso, che convinse Silvio Berlusconi ad assumere iniziative favorevoli ai boss. 

 

“Ci misero il Paese in mano”, ha detto di recente il pentito Gaspare Spatuzza al processo "‘Ndrangheta stragista" in corso a Reggio Calabria. Ed è proprio su tale procedimento che la pronuncia dei giudici di Palermo potrebbe avere un effetto dirompente: la base di partenza, infatti, era proprio l’esistenza di una trattativa. Fu per questo che si sparò ai carabinieri. Determinare terrore per ottenere una contropartita. La stessa che oggi ha portato alle condanne.

Giornalista
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