Sparatorie nel Vibonese, il killer se avesse potuto “li avrebbe uccisi tutti”

Convalidato l’arresto di Francesco Olivieri. Nel corso dell’interrogatorio ha ricostruito “lucidamente e dettagliatamente” come “tutte le azioni rispondano ad una fredda pianificazione”
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di S. M.
16 maggio 2018
12:34

Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vibo Valentia, Gabriella Lupoli, ha convalidato l’arresto di Francesco Giuseppe Olivieri disponendone la permanenza in carcere. L’uomo, accusato di aver ucciso a Nicotera, il 68enne Michele Valerioti e l’80enne Giuseppina Mollese, dopo aver ferito altre tre persone in un bar di Limbadi e danneggiato a colpi di fucile auto, abitazioni ed esercizi commerciali, ha ammesso, in sede di interrogatorio, tutti gli addebiti a suo carico. Accuse peraltro supportate da numerosi indizi, testimonianze e immagini degli impianti di videosorveglianza.

 


In particolare, il 31enne di Nicotera, ha chiarito, “lucidamente e dettagliatamente”, come “tutte le azioni rispondano ad una risalente e fredda pianificazione (maturata anche con il proprio fratello Alessandro, deceduto per cause naturali nel 2016) e sorretta da spirito vendicativo” in relazione all’omicidio di un altro fratello, Mario, avvenuto nel 1997. “E’ una vita che li controllo, li seguo, vedo dove abitano…” ha riferito Olivieri al magistrato spiegando che riteneva Mollese e Valerioti “responsabili (rispettivamente in qualità di mandante e partecipe)” dell’uccisione del suo congiunto a sua volta “ritenuto dalla Mollese l’assassino del proprio figlio Ignazio (ucciso nel 1995, a suo dire, importatore di droga dalla Colombia)”, mentre la soppressione di una terza persona, Vincenzo Timpano, “doveva servire ad impedirgli a parlare di cose illecite con soggetti esponenti di altri ambienti criminali”.


Olivieri ha inoltre spiegato al magistrato che “quel giorno si muoveva armato di un fucile doppietta poiché non riusciva a comprare un’arma automatica che avrebbe agevolato l’esecuzione, e munito di 30 cartucce che via via caricava nell’arma”, era partito a bordo di una Fiat Panda presa a noleggio innanzitutto alla ricerca di Francesco Timpano, fratello di Vincenzo, e, non trovandolo, “si recava nell’autolavaggio dove si trovava l’auto del figlio di questi con l’intenzione di danneggiarla. Dissuaso dal titolare si recava quindi presso l’abitazione che colpiva in più punti così come l’auto di Francesco Timpano”. Ancora, in una sorta di folle schema di giustizia privata, dove aver freddato Giuseppina Mollese, sparava dei colpi contro l’insegna della pizzeria del nipote in via Catello.

 

“Ha inoltre affermato di aver sparato contro il negozio di abbigliamento ‘Capriccio’ perché il proprietario è antipatico (diversamente dalle figlie)”; ad un’auto ferma in strada perché il proprietario “abusa della zona antistante la propria abitazione tenuta in disordine e su cui parcheggia in malo modo”. Olivieri si proponeva ancora di “uccidere il dottore Pasquale Pagano, ‘reo’ di non aver curato bene il fratello Alessandro. Intento dal quale desisteva perché c’era troppo movimento in giro”. Quindi un altro uomo che riteneva implicato nell’omicidio del fratello Mario; “un’altra persona di spessore”, salvo desistere perché sapeva "con soddisfazione" che era già gravemente malato e un'altra ancora, "di altrettanto spessore", che lo aveva accusato ingiustamente di un furto rompendogli anche un dito. Affermava inoltre che “se solo avesse avuto più soldi per comprare un’arma automatica e meglio pianificare le azioni, li avrebbe uccisi tutti” e di “aver lasciato in vita solo il marito della Mollese poiché unico a poter confermare la sua versione circa la trama ordita ai danni del fratello Mario”.

 

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