Il pentito racconta: talpe, politici e colletti bianchi al servizio del clan

VIDEO | Raffaele Moscato racconta di un carabiniere ed un finanziere che favorivano la consorteria, quindi elenca diversi politici collusi con il clan dei Piscopisani in verbali ancora secretati. Ad un avvocato regalato uno yacht

 
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di Redazione
18 aprile 2019
15:21

Non è che è un assaggio. La Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro parte dai delitti dimenticati e impuniti e dagli imprenditori vittime della mafia: chi ha subito e poi chi, con coraggio, ha denunciato tutto, perché doveva e perché alla fine ha avuto fiducia – come dice il procuratore Nicola Gratteri – in uno Stato credibile. Il bello, il grosso, lo tsunami, però, deve ancora venire. Perché le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sono devastanti. E perché la loro credibilità – dalla portata delle indagini fin qui condotte e dai formidabili riscontri acquisiti da carabinieri, guardia di finanza e polizia – fin qui è stata ampiamente certificata. Come Emanuele Mancuso, come Andrea Mantella e - per alcuni aspetti anche di più - Raffaele Moscato, l’ex killer dei Piscopisani che appare come un fiume in piena. Racconta i retroscena di una sfilza raccapricciante di fatti di sangue, lupare bianche, omicidi, tentati omicidi, gambizzazioni. E poi attentati, intimidazioni, minacce, pestaggi. Traffici di droga ed armi, rapine ed una quantità impressionante di estorsioni. Una Gomorra vibonese per troppo tempo ignorata dalla magistratura requirente - ha ammonito il procuratore Nicola Gratteri - il cui impulso ha segnato in questo territorio una svolta storica.

 

Erano un po’ – i Piscopisani – come la Banda della Magliana a Roma. Sanguinari, violenti oltre misura, volevano prendersi tutto. E per farlo godevano di significative compiacenze. C’è un filone delle indagini, condotte dai pm del procuratore Gratteri con carabinieri e polizia, che si occupa dei colletti bianchi e degli infedeli. Moscato racconta, per esempio, di un carabiniere che ai Piscopisani avrebbe rivelato l’esistenza di indagini sul loro conto, la posizione di alcuni dispositivi di intercettazione, che avrebbe perfino attinto da loro confidenze per “fare carriera” – spiega il pentito – e per far colpire le cosche rivali. C’erano “gole profonde” tra i ranghi degli apparati dello Stato, a disposizione del suo clan ma anche – racconta Raffaele Moscato – dei Tripodi, informati in anticipo anche dell’imponente operazione “Lybra”che a suo tempo smembrò la famiglia di Vibo Marina e Portosalvo federata agli stessi Piscopisani. Moscato rischia di mettere seriamente nei guai anche un finanziere. In servizio alla dogana, sarebbe stato un’altra “gola profonda” che avrebbe rivelato al gruppo mafioso notizie riservate alle quali peraltro non doveva avere accesso. Il militare delle Fiamme gialle viene indicato come un cocainomane, che partecipava a festini a base di droga organizzati dagli stessi Piscopisani e che non esitava neppure a trattenere per sé (e quindi a rubare) parte delle merci che con i colleghi sequestrava alla dogana. Insomma, un elenco sterminato di malefatte quello prodotto da Moscato. Ce n’è per tutti. Ce n’è per i politici, si evince dai verbali depositati dai pm ma in larga parte ancora secretati. Ce n’è pure per alcuni professionisti: come quell’avvocato a cui, per i suoi servigi, sarebbe stato perfino regalato uno yatch.


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