Operazione Miletos, sei imputati rinviati a giudizio

All’origine della faida l’imposizione della fornitura del pane prodotto dai Mesiano nel supermercato di Santa Domenica di Ricadi di proprietà di parenti dei Corigliano

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di G. B.
4 marzo 2019
14:48
Un’aula di tribunale
Un’aula di tribunale

Tutti rinviati a giudizio i sei imputati coinvolti nell’operazione antimafia denominata “Miletos”. Accolta, quindi la richiesta di rinvio a giudizio del pm Annamaria Frustaci per: Giuseppe Corigliano, 81 anni, di Mileto (avvocato Aldo Currà); Francesco Mesiano, 46 anni, già condannato per l'omicidio del piccolo Nicolas Green (avvocati Michelangelo Miceli e Francesco Calabrese); Vincenzo Corso, 46 anni, di Mileto, cognato dei Mesiano (avvocati Giuseppe Monteleone e Gianfranco Giunta); Gaetano Elia, 52 anni, di Mileto (avvocati Franco Iannello e Francesco Muzzopappa); Giuseppe Ventrice, 42 anni, di Mileto (avvocati Giancarlo Pittelli e Michelangelo Miceli); Rocco Iannello, 43 anni, di Mileto (avvocati Giuseppe Di Renzo e Mario Santambrogio e Francesco Capria in sostituzione di Santambrogio). Stralciate le posizioni di: Pasquale Pititto, 51 anni, di San Giovanni di Mileto (avvocati Francesco Sabatino e Giovanni Marafioti), Salvatore Pititto, 51 anni, di Mileto (avvocati Nicola Cantafora e Giuseppe Bagnato), Domenico Iannello, 42 anni, di Mileto (avvocato Salvatore Staiano), destinatari a dicembre dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari.

 


L'omicidio di Angelo Antonio Corigliano viene quindi contestato a: Vincenzo Corso, Gaetano Elia, Domenico Iannello, Francesco Mesiano, Giuseppe Ventrice, Pasquale Pititto e Salvatore Pititto. L'omicidio di Giuseppe Mesiano viene invece contestato a: Giuseppe Corigliano che avrebbe agito in concorso con Angelo Antonio Corigliano (quest'ultimo poi ucciso il 20 agosto 2013). L'accusa di tentata estorsione ad un supermercato dei Corigliano con sede a Santa Domenica di Ricadi viene poi contestata a Francesco Mesiano, così come pure quella di minaccia. Reati aggravati dalle modalità mafiose. Francesco Mesiano e Rocco Iannello il 16 luglio del 2013 avrebbero quindi appiccato il fuoco a Mileto al portone di casa della famiglia Corigliano. Francesco Mesiano viene indicato come il mandante dell’incendio, Rocco Iannello sarebbe stato l'esecutore materiale. Il tutto quale “sanzione” per il rifiuto opposto da Angelo Antonio Corigliano (poi ucciso il 20 agosto 2013) di mettere in atto un danneggiamento all’esercizio commerciale di proprietà dei fratelli Corigliano, sito a Santa Domenica di Ricadi, al fine di costringere i titolari dell’attività commerciale a cedere alle loro richieste estorsive.

L'omicidio di Angelo Antonio Corigliano, 30 anni, camionista di Calabrò (frazione di Mileto) è avvenuto il 20 agosto 2013 nella centralissima via Vittorio Emanuele a Mileto alle 15.30. La vittima è stata raggiunta da nove colpi di pistola calibro 9x21. Angelo Antonio Corigliano, emigrato per lavoro a Milano, si trovava alla guida di un'auto, una Fiat Punto di colore rosso, ed era da pochi giorni rientrato a Mileto per un periodo di ferie. Nel vano porta oggetti dell'auto, i carabinieri trovarono all'epoca una pistola calibro 7,65 con il colpo in canna che la vittima non ha fatto in tempo ad usare. Tale fatto di sangue è stata la risposta all'omicidio di Giuseppe Mesiano (18 luglio 2013), ucciso nella sua casetta di campagna intorno alle ore 19 in località "Pigno".

A fare la macabra scoperta furono i familiari che non vedendolo rientrare a casa si portarono in campagna dove la vittima era solita trascorrere i pomeriggi. Giuseppe Mesiano (padre di Francesco Mesiano) è stato trovato crivellato di colpi (almeno cinque) esplosi da una pistola che ha aperto il fuoco da distanza ravvicinata. Due i colpi che hanno raggiunto la vittima al volto. A contribuire alla ricostruzione dei fatti di sangue ci sono anche le dichiarazioni di Oksana Verman, di nazionalità ucraina, ma residente a Vibo Valentia, amante di Salvatore Pititto. La donna dal febbraio del 2017, dopo essere stata arrestata nell'operazione antidroga denominata "Stammer", ha deciso di collaborare con la giustizia.


Secondo l’accusa, i Mesiano avrebbero voluto costringere i Corigliano del supermercato a pagare loro una tangente per la mancata vendita del loro pane prodotto dal panificio “F.lli Mesiano”. Minaccia aggravata dalle modalità mafiose è quindi l’altra accusa contestata a Francesco Mesiano il quale avrebbe detto a Marianna Ventrice che lei ed i suoi familiari dovevano andarsene dalla loro proprietà di campagna sita in località Pigno del comune di Mileto, perché altrimenti le avrebbe incendiato la casa e avrebbe ammazzato il marito della donna, Giuseppe Corigliano. Francesco Mesiano avrebbe poi cercato di investire con il suo furgone la donna accelerando bruscamente subito dopo averla notata per strada, dirigendosi verso la stessa a gran velocità.

In seguito all’incendio del portone di casa da parte di Francesco Mesiano e Rocco Iannello, Giuseppe Corigliano in concorso con il figlio Angelo Antonio (poi ucciso il 20 agosto 2013) avrebbe quindi reagito uccidendo con sette colpi di pistola Giuseppe Mesiano il 17 agosto del 2013. L’accusa per Giuseppe Corigliano è quella di omicidio aggravato dalle modalità mafiose, oltre a quella di detenzione illegale e porto in luogo pubblico di un’arma da fuoco. Gaetano Elia e Giuseppe Ventrice devono poi rispondere del reato di favoreggiamento personale in quanto, dopo la commissione dell’omicidio di Giuseppe Mesiano, avrebbero di fatto aiutato gli autori del fatto di sangue ad eludere le investigazioni asportando le registrazioni contenute nel Dvr dell’impianto di videosorveglianza ubicato presso l’esercizio commerciale di Mileto in via Cultura numero 24 (che inquadrava il transito dei soggetti diretti verso la località Pigno presso l’abitazione della vittima). Successivamente avrebbero distrutto i filmati così acquisiti, omettendo di consegnarli ai carabinieri per consegnarli invece ai damiliari di Giuseppe Mesiano che avrebbero programmato così la vendetta contro i Corigliano.

L’omicidio di Angelo Antonio Corigliano (20 agosto 2013 a Mileto) in risposta all’omicidio di Giuseppe Mesiano viene contestato a Francesco Mesiano quale mandante; a Pasquale Pititto quale organizzatore delle fasi preliminari ed esecutive dell’azione di fuoco; a Salvatore Pititto e Domenico Iannello quali esecutori materiali del delitto; a Vincenzo Corso quale “braccio destro di Francesco Mesiano e referente del sodalizio criminale Pititto-Iannello, incaricato di presidiare i luoghi prescelti per la consumazione dell’omicidio, nonché di monitorare la vittima designata. Al delitto avrebbero contribuito Giuseppe Ventrice, quale titolare di una ditta di autotrasporti ed effettivo utilizzatore dell’impianto di videosorveglianza installato presso il magazzino di proprietà del padre sito a Mileto in via Cultura numero 24, e Gaetano Elia quale tecnico installatore addetto alla manutenzione dell’impianto che – su richiesta di Francesco Mesiano e Vincenzo Corso – avrebbe fornito ai Mesiano, insieme a Ventrice il Dvr contenente le registrazioni delle immagini dei responsabili dell’omicidio di Giuseppe Mesiano che, in data 17 luglio 2013, erano passati dinanzi al magazzino per dirigersi sul luogo del delitto. Le indagini sono state condotte dai Carabinieri del Reparto operativo del comando provinciale di Vibo Valentia. Il processo si aprirà dinanzi alla Corte d'Assise di Catanzaro il 20 giugno.

Giornalista
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